Se l’è preso una polmonite, probabilmente da Coronavirus. Importante riferimento dell’architettura Italiana nel mondo, Vittorio Gregotti a Milano lascia una grande eredità. Vi ha realizzato l’Università Bicocca, progetto di architettura e di urbanistica, si può dire la sua opera più importante di questi ultimi anni, testimonianza che la tradizione del Moderno, a dispetto di tante cose, poteva essere molto più convincente del Postmodernismo.
A poca distanza dalla Milano di Porta Nuova Garibaldi, con il grattacielo Unicredit di Emilio Ambasz, un’altra Milano, quella nata sulle ceneri della Pirelli, negli anni Novanta, grande operazione di rinnovo urbano in Italia. Di essa l’ispiratore fu appunto Gregotti assieme a Bernardo Secchi. Comprende un teatro, svariati edifici universitari, sedi di aziende, un parco, edifici ad uso abitativo. In un unico edificio, la sede di Pirelli Re, Gregotti si è permesso un acuto: come un reperto archeologico, un grande camino industriale delle vecchie fabbriche Pirelli è stato preservato dentro una edificioteca.
L’attività professionale di Gregotti ha attraversato tutta la storia del dopoguerra. A parte Milano, le sue opere sono disseminate da Palermo, dove ha realizzato il Quartiere Zen, alla Calabria con la sua Università. Ha fatto parte del Gruppo ’63, impegnato sempre a vivere, discutere, polemizzare con scrittori artisti e filosofi. Amico stretto di Umberto Eco, ha combattuto strenuamente perché la professione di architetto nell’Italia del dopoguerra avesse una caratterizzazione intellettuale.
Docente universitario, ha diretto riviste, come Casabella, ed è stato un prolifico autore anche nella saggistica. Nasce a Novara in una famiglia con forti radici industriali, soprattutto nel tessile, attività a cui si è dedicato suo fratello Enrico a cui lui era legatissimo. Spesso lo andava a trovare e si fermava a meditare nello stabilimento ancora perfettamente in funzione. Di questa eredità familiare Vittorio Gregotti è stato sempre molto orgoglioso. La ritroviamo negli edifici della Bicocca dove Peter Behrens, quello soprattutto degli edifici industriali a Berlino, è citato con aperta passione. Il mondo delle macchine, il razionalismo e la società industriale erano il suo mondo che ha interpretato con la sua mente di architetto. Guardava con sospetto a definizioni come società liquida o fluida. Lo stato sociale affermatosi in Europa durante “i trent’anni gloriosi”, come li definisce Thomas Piketty, erano la patria della sua architettura.