Ci ha lasciato poche settimane fa, a quasi novantotto anni, per un tumore al cervello. Ma ha resistito per più di sei mesi e non ha mai perso la testa, malgrado la gravità della sua situazione. Per me è stata una perdita enorme – di più, era l’ultimo d’una catena di amici che hanno cambiato la mia vita nella seconda parte degli anni Settanta, Brion Gysin, William S. Burroughs, Bernard Heidseick, Henri Chopin, Françoise Janicot, sono andati via tutti.
Arthur Aeschbacher è sempre stato molto riservato riguardo alle proprie origini. Sappiamo che era nato a Ginevra, ma non ha mai rivelato nulla della sua infanzia né di suo padre. Evocava talvolta sua madre, che era cavallerizza in un piccolo circo chiamato Cavallini. Qualche anno fa ha scritto un bel testo sul circo con delle bellissime illustrazioni. E non parlava neanche dei suoi inizi in arte.
Non si sa se abbia studiato o no e, se l’ha fatto, dove. Raccontava solo di qualche amico e di alcuni incontri a Parigi. Non parlava neppure delle sue opere risalenti a prima degli anni Sessanta. Sono solo riuscito a scoprire che faceva quadri dallo spirito post-cubista di cui ho potuto vedere qualche riproduzione.
Insomma, tutta la sua storia ha inizio intorno al 1960, quando comincia a utilizzare la forma del manifesto e lascia dietro di sé la figurazione. Eppure non ha mai rinunciato del tutto alla pittura, pur privilegiando la scrittura. Ha usato soprattutto le lettere, che sono diventate strumenti d’una poesia che poteva essere più figlia della poesia di Arthur Rimbaud « Les voyelles » che dellettrismo di Isidore Isou.
All’epoca, Pierre Restany aveva creato il Nuovo Realismo, a cui avevano aderito artisti che usavano manifesti affissi sui muri e strappati come poesia visuale della strada urbana moderna. Malgrado la grande differenza formale e concettuale dei suoi lavori, Aeschbacher è stato considerato come un antagonista. Egli però ha proseguito nella sua ricerca e ha dimostrato che la sua via aveva poco a che fare con i lavori di Villeglé o di Rotella.
Ha elaborato quadri con strati di manifesti, mostrando parti orizzontali e irregolari di testi di manifesti degli inizi della Belle Epoque. É infine giunto a un gran numero di soluzioni formali in cui le lettere e una sorta di gioco geometrico derivato dal costruttivismo o dal neoplasticismo erano abbinati. Il collage e le linee cromatiche sono stati spesso il fondamento della sua creazione.
A ciò si deve aggiungere che, durante tutti questi anni, questo artista ha ideato serie di lavori molto particolari. Come le Stores/Surfaces (tapparelle/superfici), un gioco di parole sul gruppo di artisti francesi della fine degli anni ’60. Si trattava di tapparelle con frammenti di lettere che si muovevano quando si alzava o si abbassava la tapparella.
Tra le tante altre cose, ci sono le opere ispirate alla cultura popolare messicana, come le scatole gialle della birra « Pacifico» oppure le maschere dei lottatori che godevano di un grande favore popolare. Ha anche usato le vecchie insegne dei parrucchieri dalla forma cilindrica e tricolore, che si vedevano nei tempi passati per le strade di Parigi. Adesso che ci ha lasciato, la sua opera verrà considerata con più attenzione.
Personalmente, ritengo Arthur Aeschbacher uno degli artisti più inventivi dal dopoguerra fino ai nostri giorni. Varie mostre sono già in preparazione, il mercato dell’arte ha fatto lo stesso con Modigliani. Sempre post mortem.