La videodanza di oggi
C’era una volta la videodanza, arte ibrida tra calore del corpo in performance e freddezza di telecamere e schermi, figlia delle nozze tra mondo fisico e tecnologie, quelle disponibili negli ormai lontani anni Ottanta. Azione e riproduzione del movimento si mixano da allora, soprattutto quanto alla danza che mette a disposizione delle macchine “intelligenti”, con corpi già addestrati. Ne scaturisce in dialogo agile che governa lo spazio e il tempo.
Oggi sono molte le nuove forme di “videodanza avanzata” guardando agli apparati di realtà aumentata, al body mapping, ledwall, streaming. Oltre alle ricadute dell’A.I., pronta per inventare danze e coreografie “ideali” a partire dall’immenso archivio delle migliori danze possibili stoccato nel web. Tuttavia, ci sono – ancora – necessariamente i corpi live in gioco, tra il qui concreto e l’altrove virtuale. L’intelligenza, anche quella corporea, umana è però sempre al centro.
Corpi e videodanza
Quali sono le linee guida per venire a patti con tutto questo fervore digitale? Bologna, tra DAMS e festival come Zed e Gender Bender, è un epicentro di screening e di riflessioni su queste tematiche cruciali nel percepire la “realtà” che esiste per noi, in quanto noi la vediamo con gli occhi, gli occhiali e qualunque nuovo dispositivo-visore che la scienza e la tecnica riescano a progettare e mettere in funzione.
ZED festival/DAMS Lab
Zed è un festival ben noto per proporre opere esemplari di videodanza e tecno-danza in senso lato. L’edizione 2024, nelle giornate presso il DAMS Lab dell’Università, ha messo in campo eventi esperienziali, dibattiti, indagini negli archivi virtuali, tra cui quello bolognese del grande maestro del Butoh giapponese Kazuo Ohno. Ma anche un concorso, un workshop e un nuovo volume a più mani, che fa il punto sullo stato dell’arte, Danza, schermi e visori, Contaminazioni coreografiche nella scena italiana, curato da Elena Cervellati e Silvia Garzarella per Dino Audino editore.
Da segnalare, tra i testi presentati, anche il fresco e ampio lavoro di ricerca di Xiao Huang, Forme e Visioni, La Screendance tra Europa e Cina, pubblicato da Mimesis. In presenza molte le proposte da esperire: Hybridy di Alberto Barberis, per danzatrice sola, che sonorizza e mobilizza il corpo dello spettatore, uno alla volta, con cuffie e corsetto da indossare.
Carriberrie di Dominic Allen sulle cerimonie aborigene australiane, The History of Cuban Dance di Lucy Walker, 200 di JC Oliveira e Alice Poppe sulla memoria umana in vita e in morte, hanno mostrato la fruibilità del cinema VR a 360° portando altrove chi guarda dalla sua stanza con visore e auricolari. Surge VR con la Tom Dale Company, invece, cambia la percezione dello spazio, che diventa mobile mentre chi lo visita può a sua volta muoversi in esplorazione.
C’è ancora troppo apparato? I recettori umani sono sfidati da una sorta di disorientamento in questi nuovi contesti artificiali? Che effetto ha la frequentazione di queste tecnologie sulla “danza danzata”?
La performance live site-specific Simbionte di S Dance Company, a firma di Mario Coccetti, Rocco Suma e Salvatore Sciancalepore, ha evidenziato come ormai la danza live ha assorbito le potenzialità complesse che gli schermi hanno diffuso, articolando e disarticolando i corpi dei tre danzatori in campo con mirabile cura delle forme e della composizione e scomposizione, prontamente videoregistrata.
La prima edizione del Premio ViDa, in collaborazione con operatori esperti della materia come COORPI (contest La danza in 1 minuto) e Cro.Me, pregiato archivio video accessibile online, sulla base di video selezionati da più concorsi italiani dedicati, ha riconosciuto il valore elegante-drammatico di Elegia di Licía Arosteguy, prodotto portoghese-brasiliano, con le parole di Caetano Veloso, e il poetico Life Left Behind di Valia Phyllis Zwart, greco-norvegese, sul superamento delle cicatrici del passato di una donna, alla svolta della maturità esistenziale.
Kilowatt festival
Vale la pena di citare anche l’iniziativa di Kilowatt Festival che da Sansepolcro ha dato vita a creazioni in “residenza digitale”, visibili da remoto con e.ticket: Non Player Human del danzatore Simone Arganini e del designer digitale Rocco Punghellini; Radio Pentothal dell’attore-regista Ruggero Franceschini, ispirato dal personaggio di Andrea Pazienza e dalla storica Radio Alice; l’immersivo Spazio latente di Filippo Rosati, fondatore di Umanesimo Artificiale; Metabolo II: Orynthia di Valerie Tameu, rituale cyber-magico su una divinità acquatica africana
Gender Bender
Il festival bolognese Gender Bender – che conta su dieci partner internazionali fra Paesi Bassi, Slovenia, Spagna, Francia, Svezia, Ungheria, Regno Unito – intercetta da venti anni gli immaginari culturali e artistici legati al corpo e al genere. Il festival, che fa parte della rete europea di festival queer, come What You See a Utrecht, Jerkoff a Parigi, Orlando a Bergamo, ha offerto un’ampia programmazione di videodanza e danza, settore a cui dedica un’attenzione peculiare e intensa.
C’era una volta il corpo, libro di Walter Siti, che ricapitola il pensiero contemporaneo su movimento, età, immagine, eros, mercato, comunicazione, ha incorniciato il calendario di appuntamenti di Gender Bender. Oltre a corti e documentari, al cuore della programmazione 2024 del festival, ci sono stati soprattutto film su temi identitari a tutto campo.
S/he is Still Her/e di Charles Rodrigues su Genesis P-Orridge, musicista, poeta, artista e occultista inglese; Cidade, campo di Juliana Rojas, dove un universo parallelo è possibile per un breve momento, The Summer With Carmen di Zacharias Mavroeidis, su due amici filmmakers e la cagnolina Carmen; Les femmes au balcon (The balconettes) di Noémie Merlant, commedia horror al femminile, Memorias de un cuerpo que arde (Memory of a burning body) di Antonella Sudasassi Furniss sulla vitalità desiderante delle donne non più giovani, Desire Lines di Jules Rosskam, protagonista un iraniano gay in America, Gondola di Veit Helmer su due guidatrici che incrociano vagoni della funivia e sguardi innamorati, Kokomo City di D. Smith sul mondo emarginato della prostituzione nera trans, La belle de Gaza di Yolande Zauberman, viaggio liberatorio di un/una trans da Gaza a Tel Aviv, L’home dels nassos (The Monster of Many Noses) di Abigail Schaaff su un personaggio mitico del folklore catalano, Duino di Juan Pablo Di Pace e di Andres Pepe Estrada sul primo amore di un adolescente argentino, Salão De Baile (This Is Ballroom) di Juru e Vitã sulla cultura ballroom di Rio de Janeiro, rifugio sicuro delle persone queer e non bianche.
Web-Live
Terminal Beach, lo spettacolo all’Arena del Sole che ha suggellato il programma di Gender Bender, è una coreografia mozzafiato di Moritz Ostruschnjak, già autore e interprete del solo Tanzanweisungen [ It won’t be like this forever], nato campionando centinaia di videoclip visionati in rete ed eseguendoli dal vivo con energia senza fine.
Terminal Beach, con sei straordinari interpreti capaci di prodezze degne di Tik Tok con e senza i pattini a rotelle, incarnando sbandieratori e guerrieri medioevali, muniti di spade e corazze, in un mood di virtuosismo spiccato, per ragazze e ragazzi, è la realizzazione dal vivo della fantasia più sfrenata che domina gli schermi dei nostri device, con esplosioni di breaking e hip hop in tempo reale, quello dilatato tutto al presente, quello che anima videogiochi e giochi di ruolo nel web.
L’immagine oggi sa farsi corpo, e viceversa.