ARIEL SOULÉ – Si riaccendono le luci in sala grande al Palazzo del Cinema del Lido di Venezia e scorrono i titoli di coda del film “J’accuse” di Polanski. Scrosciano gli applausi. Tutti gli spettatori si alzano in piedi e manifestano il loro apprezzamento per un film in cui hanno riconosciuto la geniale maestria di un regista che fa ormai parte della storia del cinema. E di storia tratta il film. Racconta la vicenda oscura e meschina di un’operazione perversa che ha portato sul banco degli imputati, per alto tradimento, un ufficiale francese di origine ebraica Alfred Dreyfus, accusato ingiustamente di intesa con il nemico. Accusa costruita ad hoc dagli ambienti militari avvelenati, così come buona parte della società francese, da sentimenti antisemiti, conservatori e xenofobi.
Questo applauso lungo al Palazzo del Cinema simboleggia anche un risarcimento morale per il capitano Dreyfus alla fine scagionato e reintegrato nei gradi militari. Un epilogo dovuto anche al coraggio di Émile Zola. Lo scrittore pubblica, sul quotidiano socialista L’Aurore, una lettera aperta indirizzata al presidente della Repubblica francese Félix Faure. Lo sollecita a prendere posizione a favore di un percorso di giustizia che faccia piazza pulita di pregiudizi e preconcetti. Ed è per questo che quell’applauso al Lido, il quale peraltro aumenta i suoi decibel quando nei titoli di coda appare il nome di Polanski, è rivolto anche a Zola quale grande esempio di intellettuale fortemente impegnato nel sociale. Ma la cronaca di oggi è ondata oltre. Una figura importante si è astenuta dal lungo applauso tributato a Polanski, anche quale vincitore del Gran Premio della Giuria. Si tratta di Lucrecia Martel, presidente del Festival lagunare, che, in aggiunta, non ha voluto partecipare alla cena di gala. Verosimilmente, non ha inteso passare la spugna sulla condanna comminata, nella seconda parte degli anni settanta, dalla Corte di Los Angeles a carico del regista per avere fatto sesso con una quasi quattordicenne la quale in tempi recenti ha fatto istanza alla stessa Corte perché la vicenda si chiudesse con un non luogo a procedere. Ma Lucrecia non perdona.