Gli organi ufficiali dell’Unione Europea hanno più volte dichiarato di volere l’ordine e la stabilità in Medio Oriente. C’è da chiedersi, quindi, se alle parole siano seguiti i fatti. Sembra improbabile, in effetti, che l’esportazione massiccia di armi in quell’area possa rendere un buon servizio a questa causa.
Benché gli esperti delle Nazioni Unite abbiano affermato ripetutamente che in Arabia Saudita vengano sistematicamente violati i diritti umani e che Riad lo faccia senza alcuno scrupolo nella guerra che conduce nello Yemen, gli Stati membri della UE hanno continuato a esportare armi nel regno. Per essere più precisi, nel 2016 i governi dell’Unione hanno rilasciato almeno 607 licenze di vendita alle aziende produttrici di armi per un valore di 15,8 milioni di euro. Fra gennaio e settembre del 2018 i tedeschi hanno approvato esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita per un valore di 416 milioni di euro. Nel 2008 gli organi di governo della UE avevano deliberato il divieto di vendita di armi ai Paesi che non rispettavano i diritti umani e il diritto internazionale, quindi siamo in presenza di una stridente contraddizione fra i principi proclamati e le scelte praticate. Il governo della UE è ancora più criticabile perché i Paesi destinatari delle vendite di armi spesso non sono in guerra e quindi non si giustifica in alcun modo tale scelta È illuminante il caso dell’Algeria, che è il migliore cliente delle industrie tedesche del settore.
Il punto è che le industrie di armi sono private e rivendicano, come tutte le aziende private, piena libertà di commercio con l’estero. Inoltre, tali industrie producono normalmente anche per i propri governi, i quali hanno tutto l’interesse di vederle prosperare. Infine c’è da considerare la dipendenza energetica dell’Europa, all’ombra della quale l’Arabia Saudita può restare indenne da qualunque sanzione facendo leva sulle necessità energetiche di Bruxelles. È chiaro che la ragion di Stato ha la meglio sui principi ideali, come spesso avviene, e che l’Unione resta prigioniera di una contraddizione stridente: dichiarare di volere la pace e, al tempo stesso, costruire strumenti di guerra e di morte.
Tuttavia, per capire meglio questa contraddizione, bisogna risalire ai tempi della fondazione dell’Unione Europea. I politici che agivano nel secondo dopoguerra erano sopravvissuti alla guerra più spaventosa che l’umanità avesse scatenato. In qualche caso erano stati anche testimoni della prima guerra mondiale e sapevano bene che la pace nel mondo era stata sconvolta a causa di scelte fatte nel continente europeo. Ambedue le guerre si erano svolte in buona parte sul suo territorio, ragion per cui quando si parlò di instaurare la pace, si intese tacitamente che ci si riferiva alla pace in Europa. Si trattava di una prospettiva ancora di tipo colonialistico che non considerava gli altri attori di un possibile conflitto in aree ancora sottosviluppate. Da allora sono passati quasi settanta anni e il mondo è cambiato. Battersi per la pace è molto più difficile, ma tale ideale continua a essere la ragione fondamentale e la sfida più importante dell’Unione.