L’autore del romanzo The Scarlet Letter (1850) officia, da oggi al 10 aprile 2022, il matrimonio tra Angela Maria Piga e Giuseppe Chiari. Infatti, a Nathaniel Hawthorne si ispira una singolare mostra che Matteo Boetti – degno figlio di Alighiero, per il suo modo autenticamente fuori dalle abitudini del vivere, dello scrivere, e di fare il gallerista – ha allestito nella sua CollAge a Todi, anche quale curatore.
Matrimonio ben rato e ben consumato. Deve aver funzionato bene il dialogo progettuale tra Matteo e Angela. I messaggi comunicazionali di prassi e le opere di Chiari e Piga in piena dialettica complementare lanciano un messaggio di sintonia metagenerazionale.
Chiari, Vicino e lontano da Scriabin e Schoenberg
In cammino verso una rigogliosa maturità, lei, e – emblema di una vivacissima neoavanguardia – lui, Giuseppe, ricercatore ostinato, audace e luminoso tra arte post-astratta e musica post-scriabiana e post-schoenberghiana. E non c’entra Cage, anche se più “vecchio” di lui. Il gesto, sì, è uno dei suoi leit motiv. Ma esso si fonde con la partitura che non è esattamente astratta, ma che da quella tendenza parte, per tradirla. Sperimentazione, certo, evviva Fluxus a cui si legò. Ma anche concettualità all’insegna alla poesia visiva.
E può essere pertinente anche il fiore
Per questo secondo aspetto, Chiari non rinuncia a comunicare, anche se lo fa nel senso dell’Opera Aperta. Aperta ma non troppo, cioè non nel senso di un pieno rispetto di quel concetto coniato e indagato da Umberto Eco agli inizi degli anni Sessanta. E allora non fa specie se ci si imbatte nella sequenza di un fiore, ripetuto quasi alla maniera paleocristiana (Il Buon Pastore), ma in realtà ammiccante al minimalismo. E quell’acquerello risulta persino occasione di godimento estetico, per sapienza tecnica e afflato emotivo.
Dal canto suo, Angela Maria Piga non si spaurisce davanti a questo spaccato storico (l’artista fiorentino, compagno di strada, tra gli altri, di Sylvano Bussotti e Daniele Lombardi – entrambi recentemente scomparsi – nasce nel 1926 e muore nel 2007).
E scarlatta è parola seduttiva
In ogni caso, a fare da garante c’è una parola-chiave: La lettera scarlatta, titolo assunto come metafora del tradimento a cui ho fatto prima cenno. Con fremente spontaneità, Piga si fa Chiari-oriented. Ma non rinuncia al Piga-style. E media, facendo appello alla sua arte di scrittrice. Ad esempio, precisa in uno strillo tra bohème e dandy: “E la parola ‘scarlatta’ è seduttiva, è rosso che si veste da sera per andare a far guai”. Media anche quando realizza pittorici omaggi a Chiari, rifacendosi soprattutto all’uso della tavolozza tenue del fiorentino che non a quella accesa e forte. Un lavoro intelligente peraltro. Basterà citare il dipinto verticale dalla comunicazione sintomatica: in alto, a sinistra, a margine, una “e” minuscola (vocale finale di Giuseppe); in basso, in posizione centrale, e tutto maiuscolo: CHIARI; in alto, a destra, mi piace vedere un sole fioco e una luna simpatetica al “chiaro” della sonata beethoveniana.
Schizzo-frenia
E poi l’invito alle nozze, un altro lavoro verticale: in alto, in lettere maiuscole, la parola SCARLET (ovviamente di questo colore); in basso, in orizzontale, una busta americana (giustamente) con sopra una strisciata scarlatta. E Angela gioca anche di poesia visiva in un altro lavoro: in alto un gestuale “schizzo” policromatico alla Chiari; in basso, in maiuscolo, la parola FRENIA.
Ne scrivo non avendo visto la mostra (ma mi riprometto di andare), quindi con possibilità di sbagliarmi. Ma l’ho fatto avendo conosciuto Chiari e avendo cominciato ad entrare nel poliedrico mondo creativo di Angela Piga.