Il pacifismo da paura
Esiste un pacifismo da paura e un pacifismo ideologico. In ordine al primo, evidentemente si temono le conseguenze della guerra, siano esse economiche o connesse alla propria e altrui incolumità. Il secondo è quello di chi rifiuta categoricamente e in modo assoluto la guerra e le armi.
Il pacifismo ideologico
Il pacifismo ideologico, certamente più nobile, è rappresentato da figure come Ghandi, Jan Palach, Gino Strada. Sono figure che con il loro comportamento hanno messo a rischio la propria vita (Gandhi, Strada) o l’hanno perduta (Palach) per protestare o testimoniare con le proprie opere contro qualsiasi violenza .
Poi ci sono , invece, gli intellettuali o la gente comune che ritengono che la guerra non può durare a lungo perché comunque dannosa sotto ogni profilo. E per questo non si possono mandare continuamente armi all’ucraina anche se aggredita.
Le mire della Russia
Alcuni di essi (come Alessandro Orsini) giustificano la propria tesi con il timore di mali peggiori, quale lo scoppio di una guerra mondiale nucleare. Ma verosimilmente questa convinzione non pondera adeguatamente che la Russia, in una ipotesi del genere, potrebbe provare ad annettersi tutte le ex repubbliche baltiche. Nonché Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria, con il continuo ricatto di una guerra nucleare.
I distinguo di Ghandi sul pacifismo
Ma lo stesso Ghandi, faro della non-violenza attiva, diceva che “il pacifismo codardo è la malattia infantile della non-violenza coraggiosa”. Sta di fatto che entrambe le posizioni sottolineate nei fatti portano alla resa dell’Ucraina alla Russia, se la diplomazia non riesce ad essere veloce.
Lo scotto della resa
Per non dire che la storia non ci dice di guerre risolte con il disarmo unilaterale o con la non-violenza attiva. E che la resa comporta spesso mali peggiori della guerra, poiché i vincitori non si accontentano di imporre le proprie condizioni di pace, ma perseguitano tutti coloro che hanno resistito, con altre indicibili violenze.
La vita o la libertà?
Occorre dire che ci sono pacifisti ideologici che danno maggiore importanza alla vita che alla libertà e che ritengono che con la resistenza passiva alla lunga l’oppressore viene sconfitto. Non si può negare che la resistenza passiva possa portare alla lunga alla sconfitta dell’oppressore, come dimostrato dalla dissoluzione del comunismo staliniano nei paesi che facevano parte dell’URSS, ed ora fanno parte della libera Europa.
Ma va anche detto che quella specifica resistenza passiva, pur salvando la vita della maggior parte della gente, ha significato decenni di oppressione, negazione e violazione di diritti, violenza e repressione, con sacrificio di una o più intere generazioni.
La lezione di Karl Von Clausewitz
In fondo, la scelta di una vita libera o di una vita oppressa spetta solo al popolo che viene messo di fronte a questo terribile dilemma, soprattutto se l’aggressore manifesta l’intenzione di una appropriazione totale della vita dell’aggredito.
Karl Von Clausewitz diceva: “Se la guerra appartiene alla politica, ne assume necessariamente il carattere. Più la politica è grandiosa, più la guerra lo diviene a sua volta, e può assurgere fino ad un grado tale da raggiungere la sua forma assoluta”.
E per ‘forma assoluta’ si intende l’annientamento dell’avversario. Esattamente lo scopo che sta perseguendo la Russia nei confronti dell‘Ucraina, di cui Putin ha pubblicamente negato l’esistenza come Stato autonomo, ritenendo un errore di Lenin averla costituita.
La spinta ad annientare l’avversario
E questo significherebbe l’annientamento dell’avversario: esattamente lo scopo che sta perseguendo la Russia nei confronti dell‘Ucraina, di cui Putin ha pubblicamente negato l’esistenza come Stato autonomo, ritenendo un errore di Lenin averla costituita.
Il canto della eleutheria
Al momento il popolo ucraino sta scegliendo di morire o diventare profugo, piuttosto che accettare l’asservimento alla politica grandiosa della Russia. Esattamente come gli antichi greci, che concepivano la eleutheria quale libertà dall’asservimento straniero, e ne celebravano la festa il giorno della vittoria di Platea contro il nemico invasore persiano.