La Cina non è al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale “solo” per l’epidemia di coronavirus. Attraverso un documento ottenuto da fonti clandestine emergono le prove del crimine contro l’umanità che si consuma nel Paese a danno di 10 milioni di musulmani uiguri della provincia dello Xinjiang. DW, le due TV tedesche NDR e WDR e il giornale Süddeutsche Zeitung hanno tradotto e reso pubblico il documento. Esso riporta nomi, cognomi e informazioni dettagliatissime su una quantità imprecisata di islamici detenuti nei campi di concentramento, ovvero “di rieducazione”. Alcune fra le denunce rivolte contro di essi danno la misura della persecuzione. Alcune famiglie sono accusate del reato di avere troppi figli, gli uomini di farsi crescere la barba e le donne di portare il velo, tutti di professare una religione proibita (il reato sarebbe letteralmente «estremismo religioso»). Anche i contatti di queste persone con Paesi esteri sono considerati un reato, i pellegrinaggi sono vietati e i luoghi di culto vengono spesso distrutti.
Gli uiguri sono un’etnia di lingua turca e di confessione sunnita. Coloro che riescono a evadere dalla Cina si rifugiano nella penisola anatolica e denunciano la sparizione di loro familiari e amici, mostrandone le foto ai giornalisti. Non ce ne sarebbe bisogno perché i campi di detenzione sono chiaramente visibili nelle immagini satellitari, ma la comunità internazionale mostra di non volere denunciare ad alta voce la brutalità del governo di Pechino. Secondo le stime i campi di detenzione di massa ospitano circa un milione di persone che dovrebbero essere rieducate attraverso il lavoro forzato (espressione terribile da ricordare) e il lavaggio al cervello. Secondo le autorità cinesi la realizzazione di una «società armoniosa», sotto la saggia guida del PCC, richiede che sia estirpata completamente la religione, la cultura, l’arte e le tradizioni degli uiguri.
Ma anche l’intera provincia dello Xinjiang è una specie di prigione a cielo aperto. Servendosi di mezzi molto sofisticati le autorità ne controllano tutti gli abitanti, schedandone il Dna e le impronte digitali, e spiandoli attraverso un enorme circuito di telecamere. L’accusa di terrorismo rivolta agli uiguri sarebbe giustificata da atti di violenza effettivamente da essi commessi, ma la ragione è soprattutto la sinizzazione della regione che Pechino tenta di portare avanti facendovi stabilire quote sempre maggiori di cinesi Han.