Quattro giugno 1989, Tienanmen. La piazza di Pechino diventa il simbolo della protesta cinese. Gli studenti chiedono libertà di espressione e nei comportamenti sociali contro i rigori eccessivi del regime. La loro contestazione è sedata con le armi con carri armati pronti schiacciare i manifestanti. I fucili che ne uccidono almeno un migliaio. Si vanifica la speranza della nuova generazione cinese.
Per non dimenticare quanto avvenuto trentaquattro anni fa, quaranta città mondiali hanno aderito alla “Pillar of Shame” Banner Manifestation. La campagna di sensibilizzazione per non dimenticare il massacro di sangue del 1989 parte dallo scultore danese Jens Galschiøt. Egli nel 1997 realizza l’opera “The Pillar of Shame” per la città di Hong Kong – dipinta di colore arancio nell’ambito del progetto The Color Orange nel 2008. Il primo esemplare del “Pillar of Shame” è a Roma, all’Air Terminal Ostiense dal 1996.
Nel 2021 la polizia rimuove l’opera dal campus dell’Università di Hong Kong e la sposta in un container per poi sequestrarla il 5 maggio 2023. Dal momento della rimozione l’artista ha concesso l’autorizzazione di riprodurre l’opera stampata in 3D. E da allora molte copie dell’opera circolano nel mondo.
Jens Galschiøt non si fa intimidire e inoltre afferma – come riportato dal South China Morning Post – che il sequestro è un “atto contro il Movimento Democratico ad Hong Kong”. Lo scultore apre, quindi, l’iniziativa “The Pillar of Shame Banner” con la quale chiede a chiunque di condividere questo simbolo della campagna.
L’iniziativa di Galschiøt ha preso avvio ai primi di maggio con manifestazioni in vari luoghi: in Usa (New York, Washington, Los Angeles, San Francisco, Boston), Canada, Giappone, Corea, Taiwan, Nuova Zelanda e Australia. Coinvolti anche alcuni Paesi Europei: Repubblica Ceca, Polonia, Germania, Francia, Regno Unito e Danimarca.
Hong Kong è il luogo nel quale, storicamente, le commemorazioni di piazza Tienanmen sono più sentite che altrove. I sostenitori dei diritti civili e delle libertà si ritrovano a Victoria Park, accendono candele riproponendo le tragiche performance del massacro. Ma dal 2020 tutto è stato vietato a causa della pandemia da Covid-19. Quest’anno, dopo 3 anni di divieti, Victoria Park riapre. Ma dal 3 al 5 giugno il parco della commemorazione e la limitrofa zona di Causeway Bay, si trasformano in una grande fiera. Focus sullo shopping. Ma i nuovi organizzatori sembra non abbiano pensato all’evento del 4 giugno 1989.
Dunque, quest’anno le proteste studentesche cinesi stroncate dalla PLA (Chinese People’s Liberation Army), sono ricordate solo fuori dalla Cina. Ben venga, allora, la mobilitazione che il danese Jens Galschiøt ha messo in moto: è un modo per non scordare che i valori democratici non sono acquisiti per sempre. La democrazia richiede attenzione, equilibrio. Lo sguardo dei popoli deve sempre essere vigile ai dettagli e ogni minima restrizione dei diritti è un segnale di allarme, uno dei “pilastri della vergogna”. Un ottimo connubio tra arte e attivismo in difesa dei diritti umani.