Nel nostro sistema sociale è indubbiamente il lavoro che determina i valori sia economici che sociali, tanto che uno dei suoi fondamenti è l’etica del lavoro che secondo Max Weber sta alla base della stessa nascita del capitalismo, cioè di noi. Nel momento in cui sono le macchine a svolgere il lavoro, i valori rimarranno gli stessi? Dubito! Quali valori, quindi? Varrà ancora la frase: “Sei pagato per lavorare, non per pensare?” se non altro perché nel digitale pensare rende più che fare?
Lo schema valore/lavoro ha come piattaforma il mercato e come strumento di transazione la moneta. Bene! Sintomi come la sempre più diffusa applicazione di forme di baratto (non necessariamente regressive) e la diffusione del bitcoin che scardina la relazione tra valore e riserva aurea o petrolio detenute dalla forma Stato e che fonda la propria capacità di produrre transazione nella “ fiducia” governata da un algoritmo, non ci fanno pensare che stiamo entrando in un nuovo modo d’essere della stessa relazione sociale e quindi della politica? Vuoi vedere che la crisi attuale della forma Stato sta qui? E che il pericolo nella dissoluzione è che ricompaia la forma Impero?
Tutto questo non prefigura ad esempio il collasso del sistema di valori agganciati al primato del valore di scambio per nuove modalità del valore d’uso? Un cambio di registro filosoficamente radicale tra necessità e superfluo?
E se non è più il lavoro a determinare i valori è l’intelligenza e la creatività collettiva (che tutti hanno in tasca con il proprio I-phone) possiamo ancora affrontare i conflitti sociali partendo da quello tra capitale e lavoro? Potremmo avere ancora come parametro della contrattazione il welfare o dovremmo chiederci che cosa può essere la buona vita e quindi affrontare il problema della biopolitica?
E se i valori si configurassero nell’immateriale dell’intelligenza e della creatività collettiva
(avrei potuto anche scrivere del bene comune) dove e come si depositano, si configurano, diventano relazione sociale? Forse sui territori? Forse i territori non sono più ciò da cui estrarre materia prima e/o forza lavoro, ma veri e propri ecosistemi del e per il bene comune?
E che ne sarà delle parole chiave: accumulazione e ricchezza? Che cosa si accumula nell’immateriale bitico? E come si trasforma in ricchezza?
Forse per risolvere il conflitto sociale, cioè la buona vita, con una mera redistribuzione? Non credo proprio.
Forse dovremmo fare la critica dell’economia politica del modo di produzione digitale sapendo che “… il mondo appare e si presenta come un immane ammasso di bit”.