No, non si tratta del Corona virus, né dell’epidemia che ci assilla con numeri e statistiche. Non c’è niente in questo titolo che abbia a che fare con la crisi, con i drastici mutamenti di costume o con i penosi interrogativi su un futuro sempre più incerto. Le cose sono in realtà molto più semplici. Il vero problema è quell’arcaico rimedio al male, e cioè quella mascherina imposta per legge e incollata sul viso, che sembra proteggerci, ma ci dà comunque una sospetta aria di antichi briganti, con tanto di tromboni e coltellacci.
In verità, l’idea della mascherina richiama l’immagine del Carnevale, il periodo nel quale il mondo si dispone a capovolgersi allegramente. Si sa che la tradizione del Carnevale risale al Medio Evo, quando, una volta all’anno, i rapporti sociali, economici e culturali si rovesciavano, lasciando che i volti di coprissero di maschere. Il mondo alla rovescia fu per l’appunto il titolo di un libro del 1963, nel quale Giuseppe Cocchiara, sociologo ed etnologo, mostrò come la realtà sociale e culturale fosse sconvolta in quei giorni dal mutamento delle fisionomie, con delle maschere che tramutavano il servo in padrone, l’uomo in donna, l’aristocratico in plebeo. La tradizione divenne ben presto una moda, con dame e cavalieri disposti a celarsi dietro le mascherine, in un gioco pronto a tramutarsi in schermaglia d’amore, equivoci feroci o esilaranti scherzi. Alla fine, il richiamo alla maschera di carnevale si è concluso con Ti conosco, mascherina!, una commedia (e un film, del 1943) di Eduardo De Filippo, che ne aveva ricavato il soggetto da una farsa di Scarpetta. Si tratta di un pezzo teatrale ricco di colpi di scena, che si sviluppa tutt’intorno a delle maschere di carnevale da cui nascono divertenti equivoci e astuti imbrogli.
Ma è qui che si nasconde l’inganno. La maschera cela la verità oppure la fa apparire? Essa nasconde il nostro vero volto o è chiamata a rivelarlo? L’essere umano si specchia nella maschera e si ritrae spaurito per ciò che vi ha visto. Accade cioè quel che appare nell’Enrico IV di Pirandello. All’inizio c’è un pazzo mascherato da imperatore, circondato da amici che però sono anch’essi mascherati per assecondarne la follia. Ma poi il pazzo rivela che la sua pazzia è frutto della verità, e le maschere degli amici si rivelano a loro volta un logoro travestimento e una follia che tiene legato il gruppo e i suoi meschini interessi.
La maschera svela la verità nel momento stesso in cui la nasconde. Ora però siamo coperti, non a Carnevale, ma tutti i giorni, dalle stesse mascherine. Tutti, in tutto il mondo, portiamo lo stesso tipo di maschera e ogni abitante del pianeta deve forzatamente indossarne una. Cosa accade, dunque, quando questo carattere assume le dimensioni di una massa? Quando schiere di operai scandivano il loro passo pesante e cadenzato in entrata e in uscita dalla fabbrica, come nel film Metropolis di Fritz Lang del 1927? O quando masse di tedeschi o fascisti in divisa e armati sfilavano impettiti davanti al Fuhrer o al duce e li salutavano tutti col braccio alzato? O ancora, quando moltitudini di giovani si affollano in delirio per ascoltare un concerto rock? Un mare di mascherine sono calate o calano su queste folle, nella cui ossessiva eguaglianza non è difficile scorgere il nostro vero volto, non individuale, questa volta, ma collettivo e inquietante.
Oggi il Corona virus ha ricoperto di maschere il mondo. Maschere tutte eguali, che danno ai lineamenti un unico tratto distintivo, una immagine non di appartenente alla razza umana (il sorriso, il pianto, l’intelligenza, il pensiero, la stupidità), ma di creature amorfe, incapaci di sentimenti e di passioni, chiuse nell’anonimato di quella benda in cui si nasconde il nulla. Il mondo è precipitato in un Carnevale eterno, inflessibile, nel quale l’allegria si è trasformata in una smorfia silenziosa e opaca. Un silenzio mortale si sprigiona intorno a loro. Solo gli occhi restano vivi al disopra di quella anonima maschera: sguardi vivaci, curiosi, indifferenti, sognanti, che brillano dietro un travestimento ossessivo e cercano disperatamente di evocare il nome e la sostanza delle cose che continuano a ruotare indifferenti tutt’intorno. Come a dire, ostinatamente: ti conosco, mascherina!