Ci vuole talento

talento
Mariella De Santis Robbins, courtesy Dino Ignani

Ci vuole talento. Perderti e stare dentro un’epidemia. Sono passati quasi 15 mesi.

I tuoi libri sul comodino sono come la sera prima che andassi a fare un esame in ospedale senza più tornare a casa. Gli armadi, le scarpe, i vestiti, pure. In questi giorni che sono sempre a casa ci tengo a stare in ordine e allora ho preso un paio delle tue felpe. Belle. Ci sto bene dentro. Faccio la doccia un giorno nel mio bagno e uno nel tuo. La ginnastica nel tuo studio. Ho tolto un quadro e ne ho messi tre più piccoli. Avevo promesso ad Annarita che le avrei regalato quello che ho tolto ma mi sono accorta mentre lo incartavo che dietro c’è una dedica e un ringraziamento a te dell’artista. Quindi forse dovrei dirle che non posso più regalarle l’opera. Mi sento in imbarazzo. Dovrei anche aprire il tuo pc e mettermi a raccogliere i tuoi saggi rimasti in sospeso per pubblicarli. Poi dovrei lavare le tende. E dovrei anche riprendere a lavorare su Und Tabu ma ho paura. Di cosa non lo so. No, non del virus. Peraltro credo di averlo avuto a gennaio quando però si pensava che non ci riguardasse. Che botta che ho preso, mio caro. Prima una leggera congiuntivite, poi mal di gola poi una tosse che temevo mi spaccasse le costole. La nostra dottoressa era preoccupatissima. A volte dico meno male che non stai vivendo questi momenti. Poi mi dico: cretina. Lui avrebbe voluto vivere anche questo. La vita non ti spaventava e ti piaceva. Faccio sempre un po’ fatica a capire quelli che dicono quanto gli piace vivere. Mah, non so per me è solo un dato di fatto e ‘sto fatto bisogna farlo bene, rispettandolo e migliorandolo. Ho cambiato lavoro il giorno prima della serrata. Sono andata nel nuovo ufficio solo un giorno, ho preso dei compiti da fare a casa e via. Non ho capito se era un buono o cattivo presagio. Da quando sei morto tutto è confuso, ciò che è bene e si rivelerà male e il contrario.  Chi sa dire e chi non sa ma dice lo stesso. Come in questi giorni col virus. Mi sono data una regola, radiogiornale alle 6.45, 13.45 e 18.45. Qualche giornale on line in giornata. Cancello senza leggere la maggior parte delle cose che mi arrivano su wapp. E arrivano 2,3,4,10, 20 volte le stesse. Perché tu conosci troppe persone, mi dice mia sorella. Pure se non voglio, alla fine devo tornare a me. Con questa colpa per ogni cosa, ma quella è una vecchia conoscenza. A me le giornate volano. Mi ricordo di quando tuo fratello malato diceva: già solo lavarsi occupa tutta la mattina. Mi pare succeda così anche a me. Però lavoro anche eh? Solo che lo faccio in orari svariati. Quelli che sento produttivi. I primi giorni sono caduta in uno stato catatonico. Come se gli ultimi pesantissimi 5 anni mi si fossero stesi addosso col loro carico di piombo che mi si è conformato intorno al cuore, allo stomaco e organi meno nobili. Tutto parla di te. Ho sempre i piedi freddi. Ieri sono uscita da letto alle tre di pomeriggio. Cercavo di convincermi che era qualcosa che mi potevo permettere. Non so quanto mi sia autoconvinta. Assolta mai, ovvio. Ho recuperato passando l’aspirapolvere e innaffiando le piante. Ho scongelato un brodo che mi aveva dato Roberta qualche mese fa. Quanto ci piaceva mangiare bene. Una volta l’anno ci concedevamo un ristorante stellato, ascoltavamo ogni sapore e ne parlavamo. Era bello. Ora mangiare è nutrirsi. Beh, devo dire che stando a casa ho iniziato anche a fare qualcosa che non sia al vapore niente di che eh? Però ho addirittura comperato 2 uova per fare un plumcake.  Isola di Miyajima, pieni di salute e felicità siamo al mercatino locale. Un anno prima del disastro. Ti fermi davanti ad una bancarella di suppellettili, prendi un cucchiaio di legno d’acero con un buco a forma di cuore al centro e mi dici: voglio comprartelo così quando cucini mi pensi. Io rido, ti  dico che non credevo saresti arrivato ai cuoricini, sottolineo che nel cassetto in cucina ne abbiamo già una decina, poi ti ricordo che quando preparo da mangiare tu mi sei sempre attorno che chiacchieri, ascolti la radio, versi del vino in due calici. Accettai il regalo, divertita e intenerita. Ora prendo in mano il cucchiaio d’acero col buco a forma di cuore al centro e dico: ma come lo sapevi? Come sapevi in un giorno di sole e felicità che quel cucchiaio avrebbe spodestato dalle loro funzioni tutti gli altri? Che sarebbe diventata la tua voce e il tuo sguardo nella luce di Miyajima in giorni in cui dentro me il sole è sempre basso? Mi vergono di cadere nel mio dolore. Penso ai medici, ai paramedici, agli spaventati, a chi ha perso il lavoro, ai figli ai padri. No, non è questione di fare una classifica del dolore è che ti trovi a pensare: se i genitori di Giulio ancora respirano, ancora cercano verità, vuol dire che da qualche parte ci sta la cassetta degli attrezzi che spetta ai salvati. Lo so ci sono anche i sommersi e non sempre sono quelli che muoiono. Si levano i ricordi, nubi rade per chi non ama più pensare al passato. Tranne a quello con te che però non riesce a diventare passato. No, dicevo, i ricordi. Mia madre mi mandava spesso a trovare la signora De Fazio le portavo qualcosa di caldo in inverno e fresco d’estate. Viveva a letto. Malattia misteriosa. Mi raccontava di sua madre morta di spagnola nel 1918  e lei rimase orfana a 16 anni. Mi ricordo i pensieri che non mi azzardavo a condividere con nessuno per paura di sentirmi dire per l’ennesima volta che ero strana. Pensavo che  Spagnola era un nome poco serio per una malattia. E che morire per una malattia col nome ridicolo non mi sarebbe piaciuto. Oggi Covid19 fa impressione, sembra un nome che potrebbe stare in un film da the day after. Invece è vera e di oggi 1 aprile 2020. Virus vagabondo e democratico. E anche spudorato, mostra le vergogne di ogni paese, le parti molli e maleolenti. America ragazzo di 17 anni muore perché rifiutato dall’ospedale in quanto senza assicurazione. Africa  centinaia di persone usano la stessa latrina e non hanno acqua corrente. Tu sostenevi un programma di costruzione di latrine igieniche per le popolazioni che altrimenti scaricavano nel fiume da cui attingevano l’acqua. Ti prometto che appena chiudo con tutte queste beghe burocratiche tornerò a sostenere tutte le associazioni che supportavi. Io non sapevo nulla. Nulla. Ti piacevano i segreti. Ora il mio pensiero va a chi ha perso nella stessa famiglia una, due, tre persone e dovrà confrontarsi con la burocrazia italiana, coi documenti impossibili, con l’agenzia delle entrate che fa errori in tempo reale e non restituisce i soldi in tempo reale. E penso che anche loro non avranno il tempo d cadere o forse no, forse loro potranno cadere subito come è finalmente capitato a me dopo 15 mesi. I primi giorni solo il senso tiranno del dovere mi faceva lavorare le ore necessarie per portare a termine dei compiti e poi catatonia assoluta. Mi sono spaventata. Mi guardavo dall’esterno e mi chiedevo chi fosse quella tizia seduta in poltrona avvolta in coperta che magari guardava su Netflix le più impensate delle serie TV per ore ore ore. Mi scopro morbosamente attratta da alcune ambientate in comunità chassidiche ultra ortodosse. Non credo sia solo perché distanti da me. Potrei guardare documentari sui popoli incontattati, allora. Invece Shitsel, Unorthodox, One of us. Credo sia per quel mio tormento di capire come si intreccia e nasconde l’intrico di bene e male, diritto e scelta, libertà e soggezione. Come la normalità riesca a custodire e talvolta nascondere l’eccesso. Il tema della mia vita, insomma. Una parte di me diceva è l’effetto marmotta, poi passa. Un’altra era terrorizzata che potessi rimanere sempre così. Quando ero piccola se facevo una smorfia a mia sorella, mia madre diceva: ora passa l’angelo dice amen e rimani così tutta la vita. Non ci credevo davvero ma un po’ sì…. E allora nel silenzio di questi giorni, nell’immobilità sale quel senso di paura che si è infilato da qualche parte già in placenta e sputa siero. E io sono stata titanica ho affrontato inferni e purgatori sostando in paradisi, impavida per tutti ma con quella codina sempre a muoversi nel profondo destra sinistra destra sinistra. Un rumore impercettibile, un fruscio ma nel silenzio di questi giorni si sente con chiarezza. E l’effetto marmotta invece di silenziarlo lo nutre, lo fa sentire sicuro di sé. Poi dico che il mio precetto è: quando non sai da dove iniziare ricomincia dal corpo. E allora meditazione, venti minuti di ginnastica al giorno e obbedirgli. Fare ciò che vuol fare lui. Spesso niente. Come quando sono uscita dal letto alle 15. Un giorno mi chiedo se sono depressa il giorno dopo sono come se fossi nata ieri. Guardo la tua urna. Mi dà stabilità ma tu mi manchi, ti voglio con me  o qualcuno deve scrivermi nero su bianco che tu sei da qualche parte felicissimo e allora io smetterò di protestare. Qui non è più silenzioso di prima almeno così mi pare, dura solo più a lungo perché non vado in metro, ufficio, cene con amici. A noi due piaceva tanto stare in casa in silenzio, lanciandoci voce di tanto in tanto come due animaletti del bosco: Sweetiepie! Toad! E ci bastava, sicuri di esserci. Sure of ourselves. Ora se provo a chiamarti la mia voce si accartoccia su se stessa e diventa un rantolo. Scusami. Questo ritiro, questa clausura potrebbe piacermi. La mente dopo un poco comincia a funzionare diversamente i pensieri sono pluridirezionali, frecce partono in uno stesso istante e non se ne seguono le direzioni, poi all’improvviso una centra il bersaglio e arriva un pensiero che si aspettava da tempo. Le zone di ombra si diradano. Viene fuori quasi un candore, un affidarsi agli elementi di base. Per esempio, da un bel pezzo giravo intorno a certe pulsioni per me incomprensibili, come quella, per dire, che attirava un intellettuale come Pasolini, verso le persone semplici, elementari, senza troppe sovrastrutture mentali. Mi sono allora ricordata di alcuni sguardi  che ho incontrato nei centri di accoglienza quella fiducia in me, in chi avevano intorno, quell’allegria superstite al deserto, alla traversata, la concretezza di essere vivi e di esserlo oggi. E  in questi giorni ho capito: le persone così ci riconnettono con quella medesima parte di noi sepolta, incrostata dall’esperienza, dalla conoscenza. Ci fanno sentire l’eco di noi animaletti del bosco o fiere della giungla che aspiravamo a bere, mangiare, sentirci al sicuro e dentro qualcosa che  fosse un branco, un prato, una caccia alla preda. Una parte che non sappiamo più usare perché abbiamo fatto un salto e siamo dall’altra parte del cratere. Possiamo solo guardare in basso e ricordare quel momento in cui eravamo natura e istinto sapendo che tornare indietro vorrebbe dire  distruggerci, eliminarci perché non sapremmo più essere come prima. E ho quindi capito che l’effetto marmotta è solo uno sforzo della mente che all’improvviso è esautorata da anni di routine cognitiva, operativa. Deve abdicare a compiti eseguiti coattivamente anche se apparentemente per scelta. Riprogrammare la sequenza azioni bisogni volontà e ci vuole tempo. Il tempo della marmotta. Capita quindi che si guardi la pila di libri che anelavamo leggere senza averne mai tempo e non si accenda il fuoco della passione ma casomai si agiti solo la scintilla dispettosa del corteggiamento. Si fanno ipotesi su come torneremo ad essere dopo Covid 19. Cambieremo, torneremo uguali a prima? La mia idea è che cambierà l’economia e forse le forme della politica, il funzionamento delle istituzioni e per questo, non per altro, cambieremo anche noi. Sono qui, sola mentre fuori si muore, lotta, vive, sopravvive. Oggi ho letto che a Mumbay in uno slum di 2 km quadrati vivono in 1 milione, pare che l’epidemia li stia falcidiando. Li sento uno a uno. A volte quando mi abbracciavi dicevi: tutto il mondo vive in te senza sosta. Ora forse capisco quello che volevi dire. Dovevo davvero essere troppo. Ci sono cose belle nate da questo disastro: la sera faccio meditazione attraverso una piattaforma, in collegamento con 999 persone in tutto il mondo, ci vediamo, leggiamo i nomi e maestri che non avrei mai potuto incontrare sono lì, come stiliti ad offrirsi perché ci si offra. Oggi ho fatto la tinta in casa. È venuta un po’ scura ma a te piaceva così, mi pare. Il taglio avevo appena fatto in tempo a sistemarlo “un giorno prima”. È morta la mamma di Terry. Sono rimaste sole in casa per tre giorni e da sola l’ha accompagnata al cimitero nelle Marche. Me ne ha parlato irradiata da un senso di rito antico, recuperato nel dolore. Non ci resta molto altro che questo nei grandi dolori. Questa quarantena schiude porticine dai cardini arrugginiti, mi pare.  Con gli amici del cineforum ci vediamo in Skype o Zoom ed è bello. Poi Luca manda spesso articoli o link molto interessanti. È un altro militante della vita, lui. Fa il suo e lo mette a disposizione. Poi c’è Raffale che con la sua eleganza picchietta alla porta del mio schermo. Brevi attenti messaggi come ha fatto per tutti questi 15 mesi. Quell’uomo è un cristallo di rocca  usa con gli altri la delicatezza che desidera per sé. Io ogni mattina dalla  mia pagina FB mando un abbraccio e un’opera di De Stael o Blinky Palermo o una clip di un film, di danza di poesia. Impasto un dolcetto per la resistenza. Questo è. Lo metto sul davanzale e se qualcuno lo desidera, lo prende. Tu saresti stato stretto in questa storia. Obbediente ma spesso impaziente. Avresti avuto qualche corrispondenza solo tua perché, come ho già scritto, ti piacevano tanto i segreti. A volte di notte rotolo dal tuo lato del letto sino alla sponda che chiamavi Palestina perché ti piaceva occupare un posto stretto e solo tuo. Forse anche tu come me amavi il limite ma non lo davi a vedere. Nella chat condominiale nata da questa occasione si parla anche dei maledetti piccioni che sporcano i balconi delle case disabitate e siamo irritati. Però i gabbiani sono tornati snelli. Non c’è più tanto pattume in giro. Miracolosamente scomparsi i problemi di uomini e mezzi dell’azienda municipale. Vabbè, meglio così. Poi sempre in chat si organizzano feste di compleanno che vengono salutate da concerti alle ore 18 dai balconi. Prima della malattia ti avrebbe dato fastidio, forse, ma dopo penso che invece ti saresti commosso. Il dolore o rende egoisti o apre a spazi sconfinati. In entrambi i casi il rischio di perdersi è alto.  

La sera arriva presto. Finisco le mie giornate stanca. Anelo il letto per la mia povera schiena. Ascolto Scarlatti. Domenico non Alessandro. Anzi, ora vado, tu, per favore, se puoi, vienimi in sogno.

 

Roma 28 marzo-1 aprile 2020                                  (trascurabili esercizi di memoria)