La morte del musicista Ezio Bosso. Una testimonianza di Carmelo Strano
Un sorriso ampio, naturale, generoso, contagioso, sottolineato da un esile fiocco di capelli in discesa libera sulla fronte come una croma fuori del pentagramma. Viene da pensare che la malattia con la quale Ezio Bosso ha lottato fino all’eternità, in quanto causa di limitazioni fisiche ha semplicemente accentuato la sua propensione al contatto umano e anche alla semantica del fatto musicale. Questo talvolta fino al rischio di una gestualità enfatizzante e di piglio mimetico, specie con la bacchetta di direttore d’orchestra. Inoltre, pianista, anche se si era avviato al contrabbasso.
Una spiccata attitudine pedagogica, pure. Lo vedo una volta in TV smembrare i maestri dell’orchestra a scopo esplicativo-didattico. Ad esempio, col IV movimento della Quinta di Beethoven (che dichiara “mio papà musicale”), per subito dopo offrire al pubblico invitato a una sorta di “seminario” i pattern sonori complessivi, ora zittendo la sua sete aerofagica nell’occasione dei movimenti forti e insistenti, ora dando libertà piena alla sua gestualità esornativa, ora dando spazio ad una sorta di apnea estatica nei momenti in cui i fiati si limitano all’ottavino e il pathos più sommesso si affida ai vibrati del violoncello.
E in mezzo, aneddoti, comparazioni fra compositori (il maestro di Bonn e Verdi, ad esempio, pur nella loro distanza siderale). Ma, attento alla semantica, trovava nel terreno umano il comune denominatore fra i due, cosa che gli faceva dire: “La vita è una musica meravigliosa, la musica è una vita meravigliosa”. E il senso dell’unità e del grande dialogo fra tutti per mezzo della musica…dovunque cogliendo “il suono del sorriso”.
Come compositore, è anche autore di colonne per film. In esse (è il caso di quella per il film “Io non ho paura” di Gabriele Salvatores) tende al ritmo serrato anche se esso attraversa vari registri ritmici e tematici. Il suo “Following bird” da lui suonato al Festival di Sanremo? Interessanti le sequenzialità armoniche, e tuttavia un intimismo da “Joie de vivre” nel risultato. Ma non ha paura di John Cage. Lo affronta, con una pertinenza efficace, nella sua composizione “Dreamig tears in a crystal Cage”. Una vita di entusiasmi e amore per l’esistere stroncata troppo presto.