La Rivincita Del Dragone

Tuttavia questo non sarebbe bastato se non si fosse decentrato e liberalizzato il sistema produttivo nel suo complesso. Pur continuando ad avere l’ultima parola sui piani produttivi, lo Stato centrale concesse alle imprese locali, agricole e manifatturiere, di trattenere gli utili dei surplus ottenuti, una volta raggiunte le quote produttive stabilite dalla pianificazione economica. I riformatori cinesi capirono che l’accumulazione di capitali doveva arrivare dall’industria leggera ad alta densità di lavoro, prima totalmente trascurata. In altre parole, la Cina poteva offrire agli investitori occidentali una quantità pressoché illimitata di manodopera a bassissimo costo utilizzata per realizzare prodotti di consumo, molto concorrenziali sui mercati internazionali. Ne sarebbero derivati utili per gli investitori e lavoro per gli operai cinesi.

In un Paese tanto sconfinato, era necessario, però, costruire migliaia di chilometri di ferrovie, reti telegrafiche, strade, ponti, dighe, porti, intere città. E alla Cina occorreva l’industria pesante. Ma proprio dall’industria leggera, e dal commercio, potevano venire i capitali necessari per crearla.

Fin dall’età imperiale le élite cinesi avevano considerato il commercio una fonte secondaria di reddito, poco interessante, e il regime comunista aveva mantenuto questo atteggiamento. Quando, dunque, si avviò la nuova fase, le cose cambiarono radicalmente. Gli investimenti affluiti dall’Occidente venivano indirizzati alla produzione di quei beni di consumo che potevano essere esportati nei Paesi del mondo sviluppato, con costi di produzione molto bassi e utili elevatissimi. Questa sembrava essere la specificità della via cinese al socialismo.

La crescita delle esportazioni fu spettacolare negli anni Ottanta e Novanta, superando il 14% annuo. Essa fornì la valuta pregiata con la quale modernizzare l’agricoltura e acquistare macchinari industriali, magari obsoleti in Occidente e in Giappone, ma ancora utilizzabili dalle nascenti industrie locali. Inoltre, Deng creò le cosiddette Zone Economiche Speciali, aree nelle quali si stabilivano impianti di aziende occidentali, interessate a delocalizzare la produzione. Fra il 1990 e il 2002 il Paese raddoppiò la propria quota nei settori tradizionali del tessile e dell’abbigliamento, sul totale delle esportazioni mondiali. Ancora di più nel settore dell’elettronica.

Nel 2001 la Cina fece il suo ingresso nel Wto (World Trade Organization), l’Organizzazione Mondiale del Commercio, inizio dell’integrazione completa del Paese nell’economia mondiale.

Nel 2007, con l’approvazione di una legge da parte dell’Assemblea nazionale, fu riconosciuta e tutelata la proprietà privata, violando uno dei “dogmi” del marxismo e suscitando le ire dei sostenitori dell’ortodossia. Infine, altro significativo mutamento, l’autorizzazione ricevuta da alcune grandi imprese cinesi a trattare con l’estero in completa autonomia, sganciate dalla pianificazione centrale.

Il socialismo di consumo e la mercatizzazione dell’economia

La veloce crescita del benessere della società cinese, avvenuta negli anni Ottanta e Novanta, portava con sé due problemi, l’aumento delle disuguaglianze sociali e l’indebolimento dell’autorevolezza dei leader. Questi problemi, se irrisolti, rischiavano di mettere in crisi l’impianto ideologico e la dirigenza politica.

La liberalizzazione delle attività produttive aveva creato notevoli diseguaglianze sociali che andavano ad aggravare le differenze nei livelli di vita da sempre esistenti: così le città portuali e commerciali del Sud si svilupparono molto più delle zone agricole interne del Centro e del Nord. Spesso le amministrazioni locali delle regioni più povere non erano in grado di sopperire neppure alle esigenze primarie della popolazione. Oltre a ciò, la corruzione crescente all’interno del Partito minava l’autorevolezza dei suoi leader e indeboliva quello spirito di obbedienza assoluta all’autorità che affondava le sue antiche radici nella dottrina confuciana.

Tuttavia, per i primi dieci anni del terzo millennio, la crescita economica continuò a ritmi vertiginosi e la transizione dal modello statalista a quello mercatista non incontrò ostacoli.

Tuttavia, la particolare forma di engagement che coniugava importazione di capitali d’investimento ed esportazione di prodotti finiti, sembrava conveniente per tutti gli attori in gioco, soprattutto in presenza di una incipiente crisi dell’economia occidentale. Il continuo trasferimento di capitali dagli Usa alla Repubblica popolare permise a quest’ultima di acquistare, anno dopo anno, titoli di stato statunitensi. Fino a raggiungere 1,12 triliardi di dollari nel 2018.

Si venne così a creare progressivamente una situazione paradossale: il grande Paese asiatico con un Pil pro capite ancora molto basso finanziava gli Usa che potevano vantare uno dei Pil pro capite più alti del mondo. Il libero mercato permetteva a Pechino di acquisire quote sempre maggiori di società multinazionali e investire in infrastrutture nei Paesi in cui ciò era strategicamente più utile. La penetrazione cinese nell’economia mondiale apparve sempre più evidente e minacciosa.

Oltre a ciò, emerse che Pechino, pur essendo entrata nel Wto, non ne osservava alcune regole importanti, come ad esempio astenersi dagli aiuti pubblici verso le aziende improduttive.  Si iniziò a parlare di concorrenza sleale, di dumping, di furto di proprietà intellettuale ai danni delle aziende occidentali che mettevano a punto nuove tecniche produttive. Le imprese che volevano investire in Cina dovevano accettare come partner aziende cinesi, contrariamente al principio della libertà d’impresa sancito dal Wto.

Si accusò Pechino di non rispettare quel principio di reciprocità che sta alla base di tutti gli accordi economici transnazionali. Ad esempio, molte delle acquisizioni cinesi nell’Ue non sarebbero state possibili a parti invertite. Le accelerazioni dell’export cinese, inoltre, erano troppo rapide perché il sistema economico potesse adattarvisi. Si pensi che le esportazioni di acciaio di Pechino fra il 2011 e il 2016 aumentarono di circa il 500%.