Eucalipti e rose balbettano al tramonto
d’oro rosso all’orizzonte che ci è addosso.
Lo sciabordio ci stordisce di salsedine.
Nell’imbrunire che s’avventa sui bagnanti
cantano motivi antichi come scialli di seta.
Nel cielo si rincorrono mulinelli di stelle.
Sono forse, questi, odiati stereotipi?
Allora sono inesistenti anche quei tunisini,
padre e figlio, invecchiati troppo in fretta,
per falsa ignominia agli occhi di chi odia.
Sotto questo involontario cielo straniero
cercano riscatto dentro una tenda
fissata a terra e alle ruote di un’auto,
ai margini del sentiero adiacente al mare
sconfinato e freddo di Sciacca.
Domani la tenda come miracolo sarà
un gazebo ripieno di stoffe luccicanti.
Dal padre al figlio scorre la scienza di vita.
il giovane accetta i consigli e sogna,
sogna di tornare ancora agli intimi rumori
di sottofondo alle spezie della medina
nella Tunisi rutilante di clacson stonati.
che mai potrà scomparire dalla memoria.
Gli volteggia un pensiero dolce e vero:
la civiltà è quel viso di donna che si ama
non ciò che si vede e non si può prendere.