Hangar Pirelli, Fondazione Prada, Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo e Miart la fiera d’Arte hanno ridisegnato la mappa dell’Arte Contemporanea a Milano. Il Comune ha lasciato la gestione del Mudec al Sole 24 Ore, del Palazzo Reale a Electa e a proponenti mostre con fini commerciali. Lo stesso è avvenuto per il Padiglione d’Arte Contemporanea.
Le ragioni di questo cambio di rotta sono state molteplici. L’Arte Contemporanea è diventata troppo cara sia da comprare che da esibire. I premi assicurativi sono diventati stratosferici. I prestatori una volta erano singoli collezionisti con uno status sociale borghese e disponibilità a prestare, ora sono per lo più istituzioni che preferiscono fare da sole o comunque scambiare opere solo con attori di pari impegno.
Le emergenze sociali, le ristrettezze di bilancio conseguenti alla crisi del 2008 hanno costretto il Comune a ritirarsi da un settore in cui le fondazioni di grandi aziende, nel tempo, hanno accresciuto il proprio ruolo grazie alla facilità di accesso a fondi capienti. Esse, inoltre, riescono ad attrarre operazioni di rigenerazione urbana, come nel caso dello Scalo ferroviario Romana. Qui la Fondazione Prada ne sarà il punto focale.
In questa ritirata, il comune di Milano ha anche rinunciato a un nuovo museo d’arte contemporanea la cui costruzione sarebbe stata finanziata dagli oneri di urbanizzazione, pagati da Generali e Allianz, per l’operazione di riqualificazione dell’area City Life. Il Comune non si è neppure impegnato nella costruzione della Beic, la Biblioteca Europea, nonostante la presenza di un progetto e anche di parte dei fondi. Poteva essere un grande archivio digitale dell’arte contemporanea.
L’unico lascito della giunta Moratti è stato il Museo del Novecento, museo con caratteri molto tradizionali e una distribuzione degli spazi poco funzionale, anche perché ricavato da un edificio demolito negli anni Trenta, la cosiddetta “manica lunga”, appendice del Palazzo Reale. In ogni caso, uno spazio per niente adatto all’arte contemporanea. Opere affollate in spazi ristretti, cosa che certamente non incoraggia eventuali donazioni.
Milano si è adagiata ritenendo che, prima o poi, il più grande gruppo bancario italiano, Intesa San Paolo, decidesse di collocare la sua collezione d’Arte Contemporanea e del dopoguerra in una grande struttura museale. La collezione Intesa San Paolo è straordinaria. Non ne è stato mai alienato un pezzo, o parti. Diversamente da Unicredit che ha ceduto opere, senza che le soprintendenze interferissero. Tra le opere cedute ci sono tre Gerhard Richter di grande formato, che sarebbero state fondamentali per qualsiasi raccolta.
Il problema di Intesa San Paolo, la più grande banca italiana, è che deve soddisfare equilibri politici complessi. La futura ubicazione della collezione d’Arte Contemporanea a Milano, può essere meno certa di quanto pensino il Sindaco e i principali esponenti politici cittadini. Le collezioni sono una moneta di scambio e strumenti per fare politica.
Eppure, nell’eventuale contrattazione per la collocazione a Milano della collezione d’Arte Contemporanea di Intesa San Paolo, l’amministrazione milanese qualche arma ce l’ha. È stata appena annunciata l’offerta di scambio azionario con UBI Banca con sede a Bergamo, in vista di una fusione per creare il campione bancario nazionale. Vi è la certezza che molti edifici, sedi delle due banche, saranno messi sul mercato perché ridondanti.
Il sindaco Sala e la sua amministrazione potrebbero intervenire per ottenere una la sistemazione della collezione a Milano, in cambio di elasticità nelle procedure di riassetto del patrimonio immobiliare delle due banche.
Ma ci sono ancora patroni dell’arte contemporanea a Milano? Il sindaco Moratti, che ha voluto il museo del Novecento, era un’importante collezionista ed era schierata con Forza Italia. I sindaci Pisapia e Sala si sono mostrati poco interessati al tema. Gli equilibri politici interni del centro-destra nel frattempo sono cambiati: Forza Italia non è più preponderante nell’elettorato cittadino e le altre forze che compongono il centro-destra per tradizione tendono a estraniarsi dall’arte contemporanea.