Nel frammento numero 37 del Diario degli errori, nel giro di una decina di righe Ennio Flaiano mette in mostra, meglio di quanto non faccia l’affannata arte contemporanea o un dizionario, l’assurdità di un ciclo a cui siamo sottoposti e che, credo per romanticismo, abbiamo chiamato al plurale “stagioni”: «E nel bel mezzo di agosto, una sera, risentiremo il soffio freddo dell’autunno — il segno della fine. Una sensibilità acuita al punto da fargli vivere l’intero ciclo della vita, ogni giorno e ogni anno».
Leggendo le sue parole, parole che m’hanno sempre provocato riflessioni lunghe mesi, pare di correre sulle pagine del calendario a passi da gigante. Pare anche di vedere la Terra dall’alto; e i paesaggi, il profilo delle montagne e la sinuosità dei corsi d’acqua semplicemente ponendo il dito indice come su un foglio di carta.
Chissà perché, eppure trovo esaltante quando uno scrittore evita di raccontare ciò che è scontato, e si impegna piuttosto per la costruzione di un processo di ricerca che non deve per forza basarsi su grandi enunciati. In fondo è vero: basta così poco. Di spettacoli il nostro ambiente (fatto di uomini e luoghi) ce ne riserva abbastanza. Noi, però, preferiamo chiudere gli occhi e pensare ad altro. Nessuna spiegazione riesce a chiarire questo enigma.
Credo che il “percorso” scelto da Simone Cristicchi, per tessere il suo HappyNext. Alla ricerca della felicità (La Nave di Teseo+), sia un po’ questo: un viaggio basato su parole che s’aprono a ventaglio illustrando aneddoti e interviste, per la definizione “aperta” di uno dei concetti su cui l’umanità, probabilmente per inclinazione biologica, ha sempre strenuamente posto le più importanti domande.
Non c’è una definizione che traspare. C’è il tentativo di tenere al di sopra di tutto la felicità in sé. Malgrado essa se ne stia appigliata sulle mani che l’hanno desiderata. O, come Cristicchi scrive, forse è mescolata in una «[…] frase, un’emozione, una visione. Se non mia, delle tante persone che ho incontrato, di cui solo una parte è finita nel libro. Ci si sente meno soli, quando si scopre che tutti si pongono le stesse domande, e ci si sente meno sbagliati, capendo che nessuno ha trovato la risposta giusta».
Il libro è suddiviso in due macro-aree. Nella prima traspare tutta la curiosità del Cristicchi cantautore, impegnato a illustrare una poetica della curiosità. Qui, tra racconto e lirismo, l’autore offre, su un sottofondo di ispirazione eraclitea ed orientale, un grande invito: porre attenzione su se stessi, malgrado oggi il polo del nostro io sia purtroppo diluito o imprigionato dall’artificialità della tecnica. La ricetta, la soluzione? Cristicchi enuclea una risposta da musicista. Così come in un’orchestra tutti gli strumenti trovano un accordo sonoro prima dell’inizio dell’opera, anche lui prova a far accordare due ritmi perduti: quello dell’uomo contemporaneo, frettoloso ed estraneo al passato, e quello della natura.
Nella seconda macro area il tono si fa più dialettico, la ricerca più intensa. Cristicchi mette a confronto uomini, donne, narrazioni ed esperienze di teologi, poeti, registi, scrittori. Qui s’apre la miniera di informazioni che, sulla base delle quali e, grazie alla differenza dei punti di vista espressi, il concetto della felicità viene riconsegnata alla complessità, alle singolarità, ai ricordi di chi questo sentimento l’ha vissuto e desiderato.
La chiusura del libro è affidata al “paesologo” Franco Arminio, poeta molto attivo sui social che, in un testo denso di saggia malinconia, da abile cacciatore di immagini, incontra la felicità in una visione: inventare un nuovo modo di abitare il mondo.