Il libro di Fabio Mauri ha per soggetto le opere d’arte; un testo sapiente per reimparare a leggere, pensare, comprendere.
Commentare questo libro … è darsi delle arie. Per quanto Giacobbe lottasse contro l’angelo, veniva battuto. Il libro (edito dal Saggiatore nel 2019 e curato da Francesca Alfano Miglietti) è un indagare profondo e personale che elimina il lettore. L’autore specula sul diritto e il rovescio di ogni professione sapiente. Scrive per un interlocutore che abbia letto (almeno) due libri in più della pur vasta biblioteca che ha in mente, per qualcuno che abbia pensato soprattutto a più cose che possano, autorevolmente, interdire un modo o l’altro di sentire e concludere.
Un libro per ritrovarsi del tutto
Il soggetto del libro sono opere d’arte (spesso e non solo le proprie)… ma non lo si raccomanda se non a chi vuole perdersi in un eccezionale percorso di riflessioni. O magari ritrovarsi del tutto. Come dire, è un libro per chi desidera non solo guardare le figure (e ce ne sono parecchie, disegni, foto – soprattutto di Elisabetta Catalano, sua moglie, ma anche di Claudio Abate) e cavarne una serie di biglietti di prima fila sulla comprensione delle stesse, ma per reimparare a leggere e pensare. Scritti in mostra non va letto da inesperti. Nemmeno da competenti. Parla d’altro … Libro tagliente, non so di che materia nascosta, certo sottilmente ostile a qualcosa di abituale: le dottrine disabusate, i miti forti e vuoti, la modernità non così coeva delle opere … C’è alla base un’abolizione di cautela come sistema costante, di cui l’autore, senz’ombra di perplessità fa uso. La lingua (in Mauri) risolve tutto. Può darsi che abbia ragione a infierire in modo così efficace.
Letteratura e arte non si distinguono
In questo libro l’arte è una sterminata sponda letteraria. Anzi, letteratura e arte non si distinguono, se non perché l’una può parlare dell’altra. Ci si chiede se le idee, come i nostri corpi, siano dette e fatte per essere spazzate via … Un’immagine, una foto, un ritaglio di giornale, un suono, un passante: inezie casuali incidono in un’opera costituzionalmente necessaria. Una contraddizione in termini? Non credo. È la formazione abnorme, e abituale, dell’opera d’arte.
Il libro è bellissimo. Introduce nel dettaglio come in un’anticamera dell’ultima vera verità. Si può dissentire. Comunque il testo richiede un atto di fede, visto che l’autore (Mauri) è ateo della propria professione, che in parte è condizione umana. La storia (in lui) è un’osservazione letterale, minuziosa, esiste come tragitto coerente di un pensiero fuori pista. Non appare quale penetrazione razionale e correlata di un soggetto, piuttosto tradisce l’autorappresentazione di un metodo. Di se stesso a tavolino di fronte a un soggetto scelto (l’ideologia, la memoria, la morte). E’ un atto biografico. Se riesce, egregiamente autobiografico.
La scrittura tagliente di Mauri
Chiedo scusa al lettore di questa nota (e a Fabio Mauri) perché per introdurre il suo libro ho usato esclusivamente parole scritte da lui per commentarne uno di Timothy J. Clark (Addio a un’idea. Modernismo e arti visive, edito da Einaudi nel 2005): mi sono parse un’introduzione perfetta. Spesso un autore parlando di altri intende se stesso e il mio gesto mi sembra giustificato in quanto offre un saggio autentico dalla sua scrittura: tagliente, secca, precisa. Di mio ho aggiunto solo tre piccole parentesi.
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