Nei giorni scorsi si è celebrato il settantesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese. Era infatti il 1° Ottobre 1949 quando Mao Zedong annunciava la nascita della Repubblica e con essa la sconfitta dei nazionalisti guidati da Chiang Kai-shek. A differenza di ciò che rappresenta la Cina oggi, nel 1949 dopo quasi 13 anni di guerra civile, il Paese era distrutto, stremato e talmente impoverito che nella prima parata su Piazza Tiananmen volarono solamente 17 aerei. Oggi invece i numeri sono diversi: 15.000 militari, oltre 160 aerei, 580 pezzi di “equipaggiamenti militari d’alto livello”, e per la prima volta i peacekeepers cinesi dell’ONU
In questi 70 anni di storia la Cina ha saputo giocare bene le sue carte e dopo un inizio difficoltoso, che si somma a scelte politiche criticabili come il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale, ha prosperato così come l’Unione Sovietica mai riuscì. Una svolta decisiva è arrivata grazie alla Politica di Riforma e Apertura voluta da Deng Xiaoping e ufficializzata nel 1978. La scelta di “compromettere” l’ideologia comunista con un regime economico basato sul libero scambio, si è rivelata vincente. Il mercato cinese ha ancora oggi delle zone d’ombra, dovute a restrizioni e limitazioni sulla libera iniziativa economica, sugli investimenti esteri etc. Ma non si può negare che la Cina sia ormai la seconda economia mondiale: dal 1952 al 2018 il PIL cinese è cresciuto da quasi 68 miliardi a 90.000 miliardi e dalle ultime statistiche il valore dell’import-export si attesta su 212.84 miliardi di dollari. Non tutto ciò che luccica è oro però. Il mercato del lavoro sta cambiando, molte sono le contraddizioni. L’obiettivo dei leader cinesi è quello di mantenere una stabilità di lungo termine nell’ordine sociale (China’s Peaceful development) così da favorire lo sviluppo economico. Il sistema degli Hukou, documenti di identificazione per i cittadini cinesi, penalizza i lavoratori migranti sia per quanto riguarda l’accesso all’assistenza sanitaria e all’educazione; sia per quanto riguarda l’opportunità di mobilità. La disoccupazione aumenta e i continui tagli all’impiego vengono celati in accordo con i dati dell’ufficio nazionale statistico.
Anche se il processo di modernizzazione della Cina è iniziato alla fine degli anni ‘90 il vero cambiamento è avvenuto con il Presidente Xi Jinping e ha avuto grande eco globale. Dopo l’abolizione del limite costituzionale al suo mandato, Xi si appresta a diventare un leader non meno importante dello stesso Mao. È l’artefice di uno dei progetti più ambiziosi della Cina repubblicana: la Nuova via della Seta. Questo non è solo un’iniziativa di investimenti e di potenziamento infrastrutturale è un programma attraverso il quale Xi Jinping fa della Cina il motore di una volontà di collaborazione, di multilateralismo e di globalizzazione. Forse da leggere in modo antitetico ai nazionalismi e inclinazioni protezionistiche dell’Occidente? Sicuramente la Nuova Via della Seta sta traghettando la Cina verso un nuova proiezione internazionale, diventando modello di sviluppo per molti paesi africani e asiatici. Gli stessi paesi nei quali l’Occidente ha sempre legato l’aiuto economico al raggiungimento di un livello accettabile di tutela di diritti civili e umani.
Forse è qui che si cela il grande dubbio di chiunque voglia esprimere un parere sulla Cina di oggi. La censura attraverso il Golden Shield Project, o come più comunemente chiamato dalla stampa internazionale Great Firewall, impedisce l’utilizzo e/o l’accesso di dati e informazioni. La repressione di minoranze etniche e religiose continua tra luci e ombre: nella regione dello Xijiang gli Uiguri – minoranza di etnia turca e religione islamica- vengono rinchiusi in quelli che il governo della Repubblica Popolare Cinese definisce centri rieducativi contro il terrorismo domestico. A ciò si aggiunge l’entrata in vigore nel 2018 della nuova Normativa sugli affari religiosi che ha reso i criteri di condanna, ex articolo 300 del Codice Penale Cinese, più arbitrari: chiunque non professi una delle 5 religioni riconosciute dal Partito Comunista Cinese, anche se la fede professata non rientrasse nelle xie jiao (in italiano: eresie), può essere condannato.
Dopo settant’anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, è possibile che il benessere economico abbia offuscato il bisogno di libertà e di democrazia? Forse sì, ma per quanto tempo ancora? È giusto giudicare il sistema politico di uno stato come la Cina attraverso gli standard occidentali? La Cina nasce e si struttura su concezioni diverse fondate nel Confucianesimo.