Un talento naturale, poderoso, un’energia creativa potente e rara, un’immaginazione sbalorditiva che lo portarono naturalmente a fare il pittore, lo scultore, il ceramista, lo scrittore, il poeta, lo scenografo, l’architetto. Un’attività poliedrica, in tutta evidenza, non praticata, o se volete, consentita a tutti gli artisti, che lui ha per decenni realizzato con risultati pregevoli su tutti i fronti.
Salvatore Fiume artista poliedrico, pittore, scultore, ceramista, scrittore, architetto
Un’attività di successo dunque. Ed in effetti lo è stato, realizzando durante la sua vita, risultati economici notevoli, che in grande misura e come raramente avviene nelle arti, ha sempre reinvestito nella sua ricerca. Tutto bene dunque, non fosse che negli ultimi cinquant’anni il mondo delle arti visive è stato ripetutamente come travolto da tendenze che hanno, più che corrotto, offuscato la nostra capacità critica, esaltando ricerche e risultati, per carità di Dio, sicuramente validi ma allo stesso tempo, molte volte, relativamente fragili. Ricerche che abbiamo unilateralmente esaltato, non solo per quello che erano, ma anche, in una gara ad excludendum non prevista, né richiesta da alcun codice che ha volutamente penalizzato altre, e che abbiamo solo tardivamente riscoperto, ricerche a loro volta erano validissime.
Mi imbarazza molto dirlo ma mi occupo di arti visive da sessant’anni ed ho scoperto il lavoro di Salvatore Fiume solo adesso, nella mia quarta età, da quando ho deciso di riguardare la cultura siciliana che è il territorio dove anch’io sono nato. Per molti decenni a Milano, dove ho diretto la Fondazione Mudima, era pregiudizialmente quasi proibito parlare di certi artisti come Salvatore Fiume, ma anche di molti altri, non solo siciliani. Ed è invece di loro che avrei dovuto occuparmi prioritariamente con la mia fondazione, e lo confesso non l’ho fatto.
Salvatore Fiume era un siciliano di Comiso, in provincia di Ragusa (oggi si dice del Libero Consorzio Comunale di Ragusa), circa trentamila abitanti. Nasce in una famiglia della media
borghesia, benestante, che certo gli facilitò le sue scelte ma che, lo leggiamo dalla sua biografia, non fu determinante, perché il nostro, per meriti suoi propri, a 16 anni vinse una borsa di studio per andare ad Urbino a frequentare l’Istituto d’Arte del Libro dove apprese le tecniche di stampa, dall’incisione alla litografia che poi utilizzerà, così ampiamente e con ottimi risultati, durante tutta la sua carriera. Ma Urbino è la città natale di Raffaello e ospita il Palazzo Ducale così carico di storia ma anche così pieno di opere d’arte memorabili quali quelle di Piero della Francesca, di Raffaello, di Tiziano.
Dalla Sicilia a Milano
Nel 1936 terminati gli studi si trasferì a Milano, dove già abitavano altri siciliani, come Salvatore Quasimodo con cui entrò in contatto. Di fatto non tornerà mai più a vivere a Comiso, se non per brevi e rari periodi di vacanza. La sua biografia ci racconta che a 23 anni, nel 1938 si trasferì a Ivrea dove divenne art-director di una rivista culturale (Tecnica e organizzazione) creata da Adriano Olivetti.
Sempre a Ivrea scrive il suo primo romanzo W Gioconda! pubblicato in piena guerra a Milano nel 1943 dall’editore Bianchi-Giovini. Erano anni molto tormentati, una guerra in corso che presto si sarebbe trasformata in una feroce guerra civile ma nella sua biografia non c’è traccia alcuna di una sua partecipazione né alla guerra mondiale in corso, né alla guerra civile che nel 1944/’45 imperversò, soprattutto nel nord Italia. Quello che sappiamo è che nel 1946 si trasferì a Canzo, in provincia di Como, rilevando una filanda dismessa, che diventerà nel tempo il suo centro operativo e di vita totale. La sua è stata una creatività dirompente, irrefrenabile, inarrestabile che lo accompagnerà sempre. Un siciliano del fare, in totale contraddizione con quello che lui pensava nei suoi conterranei: “In Sicilia si preferisce non fare le cose ma dirle, aggiungendo di averle fatte; e la soddisfazione di dirle è maggiore di quella che altrove si prova facendole”.
Lo stile di Salvatore Fiume
Il suo lavoro pittorico non è inquadrabile in nessuno dei movimenti che si sono sviluppati nel mondo dell’arte nel secolo scorso. Ma più che nei dipinti, che hanno una loro potente caratterizzazione stilemica, nei quali possiamo, ammesso che sia necessario e ne valga la pena rintracciare ascendenze lontane, soprattutto di Francesco Goya, Tiziano e Paolo Uccello, ecco ancor prima dei suoi dipinti su cui ritornerò, vorrei parlare dei suoi disegni. Perché Salvatore Fiume è stato uno straordinario disegnatore, amava moltissimo i suoi disegni che sono rimasti per molto tempo la parte meno conosciuta del suo lavoro. Io ne voglio parlare per prima cosa perché è con essi innanzitutto che si presenta al mondo dell’arte, sempre nel 1946, mostrandoli a Raffaele Carrieri, poeta, scrittore e critico d’arte tra i migliori del suo tempo che scriveva per molti giornali, ma soprattutto per il Corriere della Sera. Carrieri, così ci raccontano le cronache, ne fu entusiasta e seguirà poi Salvatore Fiume per tutta la vita. Chiamò subito a vederli il suo amico Alberto Savinio il quale condivise il suo entusiasmo.
Nei disegni è possibile ritrovare traccia del cubismo e della metafisica, due delle grandi avanguardie storiche, ma sono al contempo personalissimi e Raffaele Carrieri in uno dei suoi testi dedicati scriverà parole esaltanti per delineare il profilo del loro autore: “aggrovigliato, fulminante, scherzoso, acrobatico, sfaccettato” che condivido totalmente. Beh, per un giovane artista, praticamente al suo esordio, era ed è stato un viatico, un sostegno notevole.
I disegni
Carmelo Strano, che lo ha conosciuto negli anni Settanta e poi frequentato nei Novanta, mi ha raccontato che Salvatore Fiume era molto geloso dei suoi disegni e li mostrava raramente. Ma negli anni Novanta l’amicizia tra Salvatore Fiume e Carmelo Strano si consolidò e al giovane critico e filosofo il maestro volle affidare il compito di ordinare e studiare tutto il corpus dei suoi disegni (circa cinquemila, custoditi nella sua casa, Canzo) in vista della pubblicazione di un catalogo generale degli stessi. Ma questa fase finale non fu realizzata per la sopraggiunta scomparsa dell’artista (1). Penso però che l’arte che più lo ha affascinato sia stata l’architettura che fra tutte le arti forse è la più complessa e completa. Non sempre destinata ad una funzione. Essa talvolta, anche se realizzata, è carica di valore simbolico.
I disegni-progetti dell’artista
Salvatore Fiume non ha mai realizzato un suo progetto, si è solo limitato a disegnare gli edifici con un afflato poetico insolito. Penso al suo bellissimo disegno-progetto del 1955 intitolato Isola di statue; oppure al suo disegno-progetto del 1980 intitolato Casa conchiglia in riva al mare. Disegni- progetti per l’architettura sono le Abitazioni nel Mali e il tanto poetico, quasi disorientante, Grattacielo a forma di luna per l’oriente. Si potrebbe eccepire che si tratta di schizzi, di appunti, per realizzare successivi e reali progetti architettonici. Ma resta il fatto che lui stesso li ha catalogati come disegni d’artista.
Analogo afflato ritroviamo nella forma e nelle decorazioni delle sue ceramiche, che trovo stupefacenti, e a volte nelle sue sculture, quasi sempre gigantesche. Ma l’architettura è oggetto di interesse per i suoi dipinti che non sono votati soltanto al corpo delle donne. Il corpo, anzi, poteva assumere morfologie architettoniche, sicché Fiume comunicava non solo l’eros ma più in generale la bellezza del mondo, o meglio la bellezza creativa del mondo.
Le donne e Salvatore Fiume
E tutti ci ricordiamo del dipinto L’origine du monde di Gustave Courbet, con in primissimo piano il sesso femminile, oggi in permanenza al museo D’Orsay di Parigi. Pierre Restany, prima di scrivere un testo critico su Salvatore Fiume, raccontò scherzosamente di aver passato un intero pomeriggio con l’artista, parlando naturalmente di molte cose ma soprattutto del sesso, non quello degli angeli ma quello delle donne.
È del tutto evidente che Salvatore Fiume è a loro, alle donne, che intende rendere omaggio. Lavorando sulla figura femminile, presentandoci un campionario assai vasto. Va detto ancora che la sua pittura, con i suoi vivacissimi colori, su tele di piccolo o grande formato o su masonite, ritrae sempre visi modernissimi. Forse Salvatore Fiume non conosceva l’opera di Gustave Courbet quando ha iniziato a dipingere le figure femminili. In effetti l’opera si è rivelata al mondo alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, dopo essere rimasta, e per decenni, nascosta in casa del grande Lacan. Ricordo ancora, come fosse ieri, la mia grande emozione, quando in un pomeriggio della fine degli anni settanta, mentre mi trovavo a New York, la moglie del mio amico musicista Peter Kotik, che dirigeva il museo di Brooklyn mi portò a vedere quest’opera. Ma sicuramente Salvatore Fiume conosceva “La Maja Desnuda” di Francesco Goya, un pittore da lui molto amato. Ed ancora più certamente la “Venere di Urbino” di Tiziano.
Mentre il suo modo di dipingere potrebbe avere come riferimento uno dei grandi maestri dell’avanguardia del secolo scorso, Francis Picabia. In particolare vorrei segnalare il ritratto a Suzy Solidor, una modella molto amata e presente in quel periodo. Ma sono assolutamente convinto che Salvatore Fiume non conoscesse minimamente questi dipinti che Arturo Schwarz metterà in mostra a Milano nella sua galleria alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso.
Le ceramiche e altro
Ho prima accennato alle sue ceramiche. Le prime realizzate alla fine degli anni Quaranta, ancora una volta il corpo femminile come forma che lo aprono alla conoscenza di un grande della storia dell’architettura mondiale Giò Ponti, che negli anni ‘20 aveva creato la più importante rivista italiana, e non solo, dedicata all’architettura, al design e alle arti in generale che si chiamava Domus.
Ebbene Domus dedicherà alle ceramiche di Salvatore Fiume, nel giugno del 1950, la copertina ed un grande articolo al suo interno. Le sue ceramiche sono originalissime. L’unica certa o vaga reminiscenza sono le terrecotte decorate di Sejnane, cittadina antica della Tunisia: un’arte che dal 2018 è riconosciuta come patrimonio immateriale Unesco e che queste donne tunisine si tramandano di generazione in generazione, che riprendono nella forma il corpo femminile e nelle decorazioni molti dei motivi della tradizione berbera.
La conoscenza di Giò Ponti gli apre le porte dell’Ansaldo che nei suoi cantieri di Sestri Ponente a Genova realizzerà nel 1950/1951 del secolo scorso un transatlantico, allora il più avanzato del mondo, l’Andrea Doria ed affiderà a Salvatore Fiume l’esecuzione di un’opera di 3 x 48 metri che verrà collocata nel salone di prima classe.
Il ri-creatore
Salvatore Fiume non illustra ma ricrea, da par suo, la storia dell’arte italiana dal Cinquecento ad oggi, suscitando un’ammirazione incondizionata che lo renderà famoso in tutto il mondo. La sua pittura – aveva scritto sempre Raffaele Carrieri – era “un flusso potente, improvviso che giunge ad un’espressione di grande vitalità”. In tempi a noi più contemporanei, un altro importante critico, Flaminio Gualdoni, nel catalogo di presentazione di una mostra allo spazio Oberdan di Milano nel 2011, ha intitolato il suo testo “Salvatore Fiume anticamente moderno, modernamente antico, un anticonformista del Novecento”.
Fu anche scultore con i materiali più vari, la pietra, il marmo, il bronzo, la resina, il legno, la ceramica. Alcune delle sue sculture di grandi dimensioni come Le tre grazie in resina policroma (1991), la Fontana del vino (1978) in bronzo montata a Marsala. Alcune sperimentalmente realizzate in vimini come Gallo (1949) o in policroma come Pescatore di coccodrilli (1970).
La scenografia
Fiume fu anche un grande scenografo. Negli anni Cinquanta realizzò varie opere alla Scala di Milano, al Covent Garden di Londra, al teatro dell’opera di Roma, al teatro Massimo di Palermo e più tardi nel 1992 e per l’ultima volta al Teatro dell’opera di Montecarlo. Non ho grande documentazione su questa tipologia di esperienza dell’artista. La sola cosa che mi è rimasta in mente è una bellissima foto che ritrae Maria Callas e Salvatore Fiume sul palcoscenico della Scala che seduti chiacchierano in un atteggiamento molto amichevole. Maria Callas veste un costume disegnato dal nostro artista.
Ritorniamo al suo essere stato poeta e scrittore che è stata a ben vedere la sua primissima e sperimentale attività di artista. Ad Ivrea alla fine degli anni ‘30 scrive infatti il suo primo romanzo che verrà pubblicato a Milano in piena guerra, nel 1943, dall’editore Bianchi-Giovini con il titolo W Gioconda.
Artista anarco-individualista
Fiume era quello che oggi potremo definire un anarco-individualista, che è “quel ramo dell’anarchismo che difende l’individuo e la sua volontà dalle minacce della società contemporanea come gruppi, società, tradizioni, sistemi ideologici” ed ancora: “l’anarco-individualismo è una corrente di pensiero dell’anarchismo che pone l’autonomia e la volontà dell’individuo al di sopra della società.
Nonostante ciò, gli anarco-individualisti non ripudiano la collaborazione volontaria tra singoli individui, ritenendo che sia auspicabile al fine di preservare la collettività”. Ed ancora: “un anarchico è una persona che non vuole padroni. Una persona che non vuole padroni non ha nessun interesse ad essere il padrone di qualcuno. Per un anarchico essere il padrone di qualcuno è un’idea ripugnante. Quindi l’anarchico non può avere nessun interesse a convincere qualcuno con la forza. L’egocentrismo è sempre stato una caratteristica del modo di essere degli artisti, che per essere veramente tali non possono non pensare che a loro stessi e, in quanto creatori, sono figure uniche dell’universo umano”.
L’ego di Salvatore Fiume, viste le sue sproporzionate capacità creative in tanti campi, era vivissimo e per tutta la sua vita non ha mai abdicato al suo ruolo. Contava solo e soprattutto su se stesso e non ha mai affidato né il suo lavoro, né la sua vita ad altri umani o istituzioni create dagli umani. I suoi comportamenti non sono di conseguenza giudicabili con i normali parametri che utilizziamo, anche se possono apparirci fastidiosamente inusuali.
I testi letterari di Salvatore Fiume
I suoi testi letterari furono apprezzati e segnalati subito da Dino Buzzati, ottimo scrittore ed
eccellente giornalista del Corriere della Sera ed anche lui pittore, drammaturgo, librettista,
scenografo, costumista e poeta italiano, quasi suo coetaneo (lo precedeva di qualche anno).
Tra i riconoscimenti: la laurea ad honorem in Lettere moderne presso l’università di Palermo. Nel 1995 fu anche nominato “Cavaliere di gran croce dell’ordine al merito della Repubblica italiana”. E Salvatore Fiume in effetti lo fu, ma delle “Arti”.
Probabilmente sognante e velleitario come lo era stato l’universale cavaliere di Cervantes, Don Chisciotte. Un’ascendenza culturale che gli appartiene, biologicamente direi. E così io intendo ricordarlo. L’amico Nino Sottile, quando questa nota era ultimata, mi porta da leggere alcune pagine scritte da Gesualdo Bufalino, suo illustrissimo concittadino, su Salvatore Fiume; sublimi ed evidentemente impareggiabili.
NOTE
1) Frutto del racconto diretto di Carmelo Strano e della lunga intervista da lui fatta a Salvatore Fiume pubblicata in “Presenze”, Milano, anno I, n. 4, 1976 e Anno I, nn.5-6-
7, 1976.