Salute pubblica e industria farmaceutica globale. Possibile che ci volesse proprio l’attuale epidemia per far capire ai governanti europei che non si può dipendere da un Paese lontano e problematico come la Cina per il rifornimento di farmaci essenziali? La sintesi delle materie prime cinesi dipende poi dall’India e, soltanto dopo la lavorazione in questo Paese, l’80% delle medicine in uso nel mondo finiscono nelle farmacie del Vecchio Continente. Non bastavano i profitti della delocalizzazione di fabbriche di merci non essenziali per la salute, come le automobili, l’abbigliamento, i telefoni cellulari, i computer? Con questa leggerezza si rischia di mettere a repentaglio la salute pubblica.
Mentre prima del 1989 i siti di fabbricazione dei principi attivi erano molto vicini alle fabbriche delle case farmaceutiche, e molto spesso di proprietà di esse, con il procedere della mondializzazione la situazione è cambiata. A partire da quella data e fino al 2006, l’industria farmaceutica dei Paesi sviluppati ha importato dall’Asia principi attivi che avevano un prezzo altamente competitivo rispetto al passato. Dopo la crisi del 2007, l’utile si è ridotto in misura considerevole, passando dal 40% al 20%, in concomitanza con il crollo della crescita dei Pil dei suddetti Paesi.
Questa situazione ha indotto a delocalizzare quanto più possibile – fino all’80% – le lavorazioni, per evitare un calo traumatico dei profitti. In occasione dello Tsunami in Giappone (2011), ben 50 siti produttivi di questo settore furono costretti a chiudere per un periodo limitato di tempo. Non si può dire quindi che il pericolo per la salute pubblica non fosse stato avvertito. Tuttavia oggi gli esperti assicurano che, esistendo scorte per tre mesi, le forniture in Europa non dovrebbero risentire delle difficoltà che attraversano i produttori cinesi.
Ma il problema dell’importazione di farmaci dall’Oriente all’Europa e agli Stati Uniti non riguarda solamente possibili disfunzioni nella produzione e nella distribuzione. Le autorità sanitarie dei Paesi occidentali hanno appurato attraverso ispezioni mirate che Cina e India non rispettano in alcuni casi quelle norme di igiene e quelle procedure standardizzate che assicurano la totale innocuità del prodotto finale. Lettere e raccomandazioni sono state indirizzate alle aziende produttrici nella speranza che la salute pubblica e planetaria sia preservata con ogni mezzo.