Ludwig van Beethoven è nato a Bonn nel 1770 e morto a Vienna nel 1827. Del grande rivoluzionario della musica di tutti i tempi ricorrono i 250 anni dalla nascita.
Fyinpaper lo commemora pubblicando, a capitoli (in totale dieci, ed ecco gli ultimi due), una biografia scritta da Giovanni Caruselli, nostro redattore, autore di saggi, collaboratore di Einaudi, Rizzoli, Vallardi, Diakronia, e altri editori, per testi di storia e filosofia (materie che ha insegnato).
L’ultimo appuntamento dedicato al grande compositore è accompagnato da un’opera realizzata per Fyinpaper da Paolo Gubinelli.
“Nel 1985 l’Inno alla Gioia, l’ultimo movimento della sinfonia n. 9 di Beethoven, diventa il simbolo sonoro che gli stati dell’Europa Unita (ed estensivamente anche gli altri appartenenti al vecchio continente) assumono ufficialmente accanto a quello della propria tradizione nazionale. Beethoven si era profondamente sintonizzato con i sentimenti di fratellanza fra i popoli della terra cantati nel 1785 da Friedrich von Schiller: “Abbracciatevi Moltitudini! / Questo bacio è per il mondo intero”. Centottantacinque anni dopo un giovane famosissimo cantautore di Liverpool avrebbe cantato – nella sua sempre verde “Imagine” – “a brotherhood of man” grazie alla quale “the world will be as one”.
Paolo Gubinelli è artista tra i più originali e seri, attivo con rigore sin dai suoi vent’anni quando da Macerata si trasferisce a Milano, dove fa incontri proficui con tanti artisti di ricerca, non ultimi Lucio Fontana e Bruno Munari. Da qui il suo segno segnico con cui elabora atmosfere e composizioni formalmente astratte ma semanticamente concrete: respiri le sue narrazioni “immaginifiche”, tocchi, con senso di valore plastico, i suoi giochi tonali imprevedibili, ti immergi nei ritmi delle profondità, talvolta come squarcio oppure come una sorta di rilievo marcato o docile. Il suo Inno alla Gioia si insinua nel pentagramma, attraversandolo o rispettandolo. Soprattutto realizza un unisono (la differenza è solo una questione di ottave) tra suono e visione. La robusta leggerezza dell’Inno friedrichiano-beethoveniano si fa rarefazione delle cromie nello spazio. Le tinte azzurre si alleggeriscono fino alla trasparenza e alla volatilità o si mutano in segno strutturante tendente al blu. Alla dimensione socio-culturale-antropologica del duo poeta-compositore si unisce, in questo lavoro di Gubinelli, una certa tensione all’infinito e alla profondità proprietà da Kandinsky sottolineate a proposito di questo colore primario.” (Carmelo Strano)
L’IMPOSSIBILE PATERNITÀ
Fra il 1816 e il 1817 Beethoven visse un effimero periodo di serenità familiare essendosi stabilito un apparente accordo con la cognata sulla questione della tutela del nipote. Le diede la possibilità di effettuare delle visite al figlio presso l’istituto del Giannatasio, seppure in sua presenza, si adoperò per tutelare gli interessi economici di ambedue e, addirittura, talvolta accompagnò Carl a trovare la madre. Nell’estate del 1816 Carl si ammalò di ernia e dovette subire un’operazione chirurgica che fu effettuata dal dottor Carl von Smetana. Beethoven, che si trovava fuori Vienna, come era sua consuetudine nel periodo estivo, non poté assistere il nipote in quei giorni. Tuttavia continuava a manifestare molta apprensione, quasi al limite della ragionevolezza, per il futuro del ragazzo, che non rendeva a scuola quanto era nei suoi desideri. Dopo qualche tempo egli autorizzò il Giannatasio a picchiare Carl se non avesse obbedito agli ordini che gli erano impartiti, benché non condividesse tale prassi in linea di principio. A metà del 1817 i rapporti fra Ludwig e Johanna erano di nuovo tesi, a seguito di un riavvicinamento di Carl alla madre, che il musicista giudicava pericoloso. Fra l’altro aveva saputo che Johanna riusciva a vedere Carl a sua insaputa, talvolta travestendosi da uomo per potere entrare più agevolmente nell’istituto, talvolta con la connivenza dei domestici. Così, in preda all’irritazione, comunicava la situazione all’amica Nanette Streicher: «Da molto tempo notavo indizi di tradimento, e poi il giorno prima della mia partenza ricevetti una lettera anonima il cui contenuto mi spaventò, ma si trattava solo di sospetti. Carl, al quale chiesi spiegazioni decisamente quella sera stessa, rivelò subito qualcosa ma non tutto … Carl si è comportato male, ma una madre -una madre- anche una cattiva madre è comunque una madre …».
Le sue attenzioni nei confronti del nipote sono attestate in quel periodo da lettere come questa: «Mio caro Czerny! la prego di trattare Carl con la maggiore pazienza che le è possibile anche se ancora non ottiene i risultati che sia Lei che io desideriamo, dal momento che altrimenti egli renderebbe ancora di meno, poiché (non bisogna dirlo a lui) egli è condizionato negativamente dalla cattiva distribuzione delle ore di lezione; purtroppo non si può apportare alcuna modifica a questo per il momento. Quindi lo tratti quanto più le è possibile con affetto, ma sempre con serietà e certamente ogni cosa gli riuscirà meglio, in queste condizioni veramente poco propizie. Riguardo al suo modo di suonare, quando avrà imparato la corretta posizione delle dita, suonerà le note nella maniera più giusta. La prego di curare particolarmente l’espressione dell’esecuzione, e, quando sarà arrivato a questo punto, non lo interrompa per piccole imprecisioni, ma piuttosto gliele faccia notare alla fine del pezzo. Benché io abbia dato poche lezioni, ho adottato sempre questo metodo che forma subito il musicista, il che in fondo è uno dei primi obiettivi dell’arte e fa stancare di meno il maestro e l’allievo».
Nel gennaio del 1818 Beethoven, che ormai veniva organizzando la sua esistenza in funzione del nipote, ritirò Carl dall’istituto del Giannatasio e lo portò a vivere con lui, affidandolo alle cure di un precettore. Qualche tempo dopo, in maggio, si trasferì a Mödling con il ragazzo e lo iscrisse presso la scuola dove insegnava il prete del paese, un certo Fröhlich. Già da tempo egli aveva tentato di convincere il tribunale ad autorizzarlo a portare lontano da Vienna il nipote ed aveva confidato questo suo progetto al Giannatasio nel gennaio del 1816: «Certamente sarebbe preferibile portarlo lontano da Vienna e mandarlo a Mölk o da qualche altra parte. Là non vedrebbe né potrebbe sapere nulla di questa sua orribile madre; e in un ambiente totalmente estraneo egli avrebbe meno persone su cui contare e potrebbe ottenere affetto e rispetto con le sue sole forze». Anche questa nuova situazione non era destinata ad evolversi positivamente poiché Carl fu espulso dal Fröhlich per il suo cattivo comportamento e perché, sembra, avesse l’abitudine di parlare male di sua madre. Quest’ultima, da parte sua, non aveva certamente abbandonato la contesa per la tutela del figlio, tanto più ora che Ludwig, portandoselo in casa propria poneva le basi per una più netta separazione del ragazzo da lei. Così, aiutata da un suo lontano parente, esperto di questioni legali, un certo Jacob Hotschevar, presentò nel settembre del 1818 una prima petizione al tribunale per riottenere il figlio. Non avendo ottenuto alcun esito presentò allora una seconda istanza in cui chiedeva che Carl fosse iscritto presso una scuola di Stato. Anche questo secondo tentativo andò a vuoto. Nei primi giorni di dicembre, però, Carl si allontanò dalla scuola dov’era stato iscritto, per rifugiarsi in casa di sua madre e la polizia intervenne per riportarlo presso la scuola del Giannatasio. A questo punto Johanna presentò una terza petizione al tribunale, nella quale si evidenziavano dettagliatamente i torti da lei patiti da parte del cognato. Sulla base di una dichiarazione di padre Fröhlich si rilevavano, inoltre, le gravi lacune morali di Carl dovute allo stile educativo, perlomeno eccentrico, dello zio. La cosa più grave, comunque, emersa nel corso del dibattito, fu una lettera di Caspar Carl nella quale non solo egli si dichiarava contrario a che il fratello fosse unico tutore del figlio Carl, ma ammetteva di essere stato costretto dal fratello per via dei debiti contratti nei suoi confronti, a esprimersi diversamente. «Non avrei mai scritto un simile documento se la mia lunga malattia non mi avesse costretto a spendere molto denaro; solo per questo motivo ed essendone costretto ho potuto firmare tale documento, ma al tempo stesso ero deciso a farmelo ridare al momento opportuno o a renderlo inefficace con un altro documento, perché mio fratello è troppo impegnato dalla sua attività di compositore e non potrà mai, secondo il mio giudizio, e con il mio benestare, diventare tutore di mio figlio». Anche Carl testimoniò a sfavore dello zio ma fu quest’ultimo, con alcune sue imprudenti affermazioni, a imprimere alla vicenda giudiziaria una svolta che gli sarebbe stata sfavorevole.
Interrogato sul futuro del nipote egli, infatti, affermò che non avrebbe potuto iscriverlo al Theresianum poiché questa era una scuola riservata ai nobili. Fino a quel momento i giudici non erano al corrente di questa circostanza, ignorando che il «van» era spesso usato nei luoghi d’origine della famiglia Beethoven, anche per designare i non nobili. Essendo quel tribunale riservato alle vertenze giudiziarie in cui fossero chiamati in causa membri della nobiltà, dopo una rapida inchiesta, in cui rientrò anche la testimonianza di Johanna a riguardo, i giudici non poterono fare altro che rimettere tutta la questione alla magistratura cittadina. Sembra che la decisione del tribunale sia stata recepita dal musicista come una grave umiliazione e, secondo i suoi primi biografi, egli ne restò particolarmente mortificato. In ogni caso le conseguenze della nuova fase della tormentata vertenza sarebbero state per lui negative. La magistratura cittadina gli fu contraria e, nel gennaio del 1819, gli tolse la tutela di Carl, che fu affidato alla madre e alle cure di un precettore. Beethoven non accettò la decisione del tribunale e l’11 febbraio inviò ai giudici una lunga lettera in cui difendeva il suo diritto morale alla tutela del nipote, attaccando ancora una volta con determinazione Johanna: « … mai io mi sono adoperato più a fondo e con maggiori mezzi da quando ho preso con me mio nipote pensando io stesso alla sua educazione. Mio nipote fu affidato a me ancora quando suo padre era vivo, mi fu affidato da suo padre stesso, e, lo confesso, mi sento chiamato più di chiunque altro, a porlo con il mio esempio sulla retta via dell’agire virtuoso. Se sua madre avesse mitigato la sua cattiveria e mi avesse lasciato portare avanti le mie iniziative, sarebbe derivato già un risultato positivo dai miei attuali intendimenti. Ma quando una madre di tal fatta cerca di coinvolgere suo figlio nell’intrigo dei suoi usuali corrotti costumi, e già fin dall’infanzia lo induce a fingere, a far naufragare la mia missione, a mentire, e ride di lui quando egli dice la verità, e gli fornisce del denaro per orientarlo verso una vita scanzonata e priva di freni morali …, allora questo compito già di per sé difficoltoso, diviene ancora più arduo e pericoloso … Sono venute fuori tante accuse che mi disonorano e da parte di uomini tali che di questo non dovrei neanche parlare, dal momento che i miei principi morali non solo sono ampiamente noti a tutti, ma autorevoli scrittori si sono degnati di scriverne e solo per parzialità mi si può attribuire qualcosa di infamante. Io ho sempre pensato di toglierlo dalle mani della madre per la salvezza della sua anima. I beni di fortuna si possono procurare, ma la moralità … deve essere introiettata fin dall’infanzia, e senza dubbio egli la eredita da me … ciò di cui abbiamo bisogno è la serenità e nessuna ulteriore intromissione della madre: così certamente potrà essere raggiunto rapidamente l’obbiettivo che mi sono prefisso … voglio provare che chi si comporta bene e degnamente, può anche tollerare le offese senza perdere di vista la nobile meta che si è prefisso. Da tutto ciò si può dedurre che, come già fui il benefattore del padre di mio nipote, merito di poter essere considerato ancora di più benefattore di mio figlio, anzi addirittura, e con ragione, suo padre! Nessun interesse nascosto o manifesto può essermi attribuito per il bene che faccio, e i giudici hanno ben compreso ciò e mi hanno ringraziato per le mie attenzioni di padre».
I magistrati non si mostrarono sensibili all’appello del musicista e alla fine di marzo Beethoven fu costretto a rinunciare alla tutela in favore di Johanna e del consigliere Matthias von Tuscher che l’avrebbe coadiuvata. Ludwig chiese allora la possibilità di mandare Carl a studiare in Baviera presso l’università di Landshut, sempre dando seguito ai suoi propositi di allontanamento del ragazzo dalla madre, ma la risposta dei giudici fu ancora negativa. Così Carl, che fino a quel momento aveva avuto come precettore un certo Johann Kudlich, fu iscritto in una scuola diretta da Joseph Blöchlinger e lì sarebbe rimasto per i successivi quattro anni. Beethoven continuò tuttavia nella sua azione, programmando per il nipote un periodo di studio all’estero che lo allontanasse dalla madre, e chiedendo al direttore della scuola di evitare che i due si vedessero. Sosteneva che il ragazzo stesso avrebbe dovuto rinunciare a vedere sua madre. «È sperabile che Carl capisca che non deve più avere contatti con una madre tanto corrotta, che, non so bene attraverso quali sortilegi da maga Circe, o maledizioni, o promesse, lo ha stregato e lo rende ribelle alla mia autorità».
Per fronteggiare la martellante offensiva del musicista Johanna si rivolse all’altro fratello di Caspar Carl, Johann, nella speranza che quest’ultimo potesse essere nominato contutore in sostituzione di Ludwig. Questa «alleanza» familiare contro di lui fece andare su tutte le furie Beethoven che sentì questa volta chiaramente che tutti gli erano avversi. Le sue reazioni verbali furono violentissime. «(Carl, n.d.r.) è un delinquente bello e buono, e gli si addice perfettamente la compagnia di sua madre e del mio pseudo fratello» … «Sia maledetta e dannata l’intera miserabile razza umana». Nel settembre, a seguito delle dimissioni del Tuscher, il tribunale nominò come contutore, insieme a Johanna -che così manteneva la posizione conquistata- un funzionario del Municipio, un certo Leopold Nüssbock. Venendo allora a più miti consigli, Beethoven propose al tribunale una tutela congiunta con Johanna, ma per ben due volte i giudici si rifiutarono di aderire alla sua richiesta. Assistito dall’abile legale Johann Baptist Bach, Beethoven decise di ricorrere all’Imperiale Regia Corte d’Appello. Lo fece una prima volta il 7 gennaio del 1820 richiedendo che la tutela di Carl fosse affidata a lui, a Johanna e a Carl Peters, già precettore dei figli del principe Lobkowitz. La risposta della Corte d’Appello, che aveva attentamente esaminato tutta la questione alla luce dei documenti già in possesso dei magistrati dei gradi inferiori del processo, fu negativa. Si osservò, infatti, che l’unico appunto che poteva essere fatto alla madre era il reato commesso nel 1811, per il quale aveva già espiato la sua pena e che non aveva certamente fatto decadere i suoi diritti. Si osservò inoltre che la menomazione fisica del musicista e il violento rancore da lui provato nei confronti di Johanna, lo rendevano praticamente inabile all’espletamento della funzione di tutore. La sentenza, particolarmente severa, esprimeva anche valutazioni assai negative nei confronti dell’operato del musicista, tutto teso, secondo i giudici, più a danneggiare la madre che a garantire un avvenire sereno al giovane Carl.
Beethoven tentò, allora, la sua ultima carta, che poi sarebbe risultata vincente, preparando un lungo memoriale di quarantotto pagine che sarebbe servito ad appoggiare un ulteriore ricorso in Corte d’Appello. Nel documento riprendeva la polemica ormai nota sulla immoralità della madre, enumerava i suoi meriti e attaccava violentemente alcuni personaggi che avevano partecipato alla vicenda come padre Fröhlich, accusato di gretto moralismo, e un magistrato del tribunale, accusato di non essere stato imparziale. Nel frattempo mise in moto tutte le sue potenti amicizie per influenzare i giudici della Corte d’Appello e sembra che lo stesso arciduca Rodolfo abbia presentato ai magistrati una sua dichiarazione in appoggio alla richiesta del musicista. Il 29 marzo la magistratura ordinaria riconvocava le parti sperando in una riconciliazione che però non venne, avendo Beethoven capito che avrebbe potuto finalmente ottenere ciò che voleva dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, infatti, l’8 aprile si pronunciò definitivamente a favore del musicista assegnandogli la tutela di Carl. La lunga e sfibrante contesa era finita ma il prezzo che i tre ne avrebbero pagato era altissimo. Beethoven non sarebbe mai riuscito ad avere tutto l’affetto di Carl e quest’ultimo, dopo aver tentato di fuggire ancora dalla madre, avrebbe tentato il suicidio, probabilmente scosso da tutto quanto era avvenuto. Johanna alla fine del 1820 diede alla luce una bambina, figlia del ricco Johann Hofbauer che se ne assunse ufficialmente la paternità.
GLI ULTIMI ANNI
La lunga disputa per la tutela di Carl, che è stata considerata come una violenta reazione ai falliti progetti matrimoniali culminati nel 1812, corrispose in buona parte a una stasi creativa sul piano artistico e fino a tutto il 1817 non si registrano composizioni di rilievo. D’altra parte le vicende giudiziarie di quel periodo non costituivano l’unica fonte di preoccupazione per il musicista, poiché la sua sordità progrediva inesorabilmente e la mancanza di una famiglia rendeva sempre più gravi i problemi pratici della sua esistenza. A questo riguardo di un certo aiuto per il musicista fu Nanette Streicher, figlia del costruttore di pianoforti Stein e moglie di Johann Andreas Streicher, anch’egli proprietario di una fabbrica di pianoforti. A questa donna, il cui precoce talento musicale era già stato ammirato da Mozart anni prima, Beethoven scrisse fra il 1817 e il 1818 una sessantina di lettere, in molte delle quali egli richiede esplicitamente aiuto e consiglio per la risoluzione di vari problemi inerenti alla quotidiana amministrazione domestica. Il musicista le confida, però, anche i timori e le apprensioni sul peggioramento del suo stato di salute e non esita a riconoscere, talvolta, la sua condizione di dipendenza psicologica da lei. Il rapporto fra i due ebbe termine prima dell’estate del 1818, probabilmente anche a causa delle dicerie che andavano nascendo circa una presunta relazione sentimentale fra loro. Altre presenze femminili in questo periodo furono Fanny e Anna Giannatasio, figlie del proprietario dell’istituto frequentato da Carl. La prima annotò sul suo diario vari episodi relativi ai giorni durante i quali il musicista andava a trovare la famiglia amica.
Nel 1817 Beethoven ricevette dalla Società Filarmonica di Londra l’incarico di comporre due sinfonie e l’invito a partecipare personalmente ad alcuni concerti nella capitale inglese nell’inverno 1817/1818. Il maestro accettò l’incarico relativo ai due lavori, ma non avrebbe effettuato mai la tournée londinese propostagli e avrebbe ritardato notevolmente la prima delle due sinfonie richiestegli. Iniziò invece a comporre la Sonata per pianoforte in si bemolle Hammerklavier(op.106), che sarebbe stata completata l’anno successivo e dedicata all’arciduca Rodolfo. I pochi concerti dati da Beethoven fra il 1817 e il 1819 non ebbero un particolare successo. La sordità del maestro era infatti quasi totale e la circostanza condizionava la qualità delle esecuzioni. Dal 1818 prese l’abitudine di conversare con allievi, ammiratori e visitatori attraverso quaderni in cui questi ultimi scrivevano ciò che volevano dirgli. Di questi Quaderni di conversazionene sono rimasti centoquaranta, il cui contenuto è da prendere con le dovute riserve a causa degli interventi che su di essi operò il primo biografo del musicista, Anton Schindler. Numerosi furono invece i concerti privati organizzati, come al solito, da raffinati musicofili sempre più entusiasti del maestro. Le cronache di questi anni ci dipingono Beethoven come un uomo sempre più eccentrico, più distratto, più isolato. Più che amici si ritrova attorno ammiratori devotissimi che lo aiutano in ogni circostanza. Ormai egli sembra vivere totalmente solo della sua arte, cosciente, forse, che il tempo che gli resta ancora per esprimerla si riduce inesorabilmente. Lavora moltissimo, almeno a partire dal 1817. Abbozza le prime idee per la Nona Sinfonia, compone le Variazioni Diabelli e incomincia a scrivere la monumentale Missa Solemnis. Intende dedicare quest’opera, ancora una volta, al suo più illustre e fedele protettore, il granduca Rodolfo d’Asburgo, di cui è prossima la nomina ad arcivescovo di Olmütz. Non riuscirà a completarla per il 4 giugno del 1819, giorno per il quale è stata programmata la cerimonia d’insediamento. Nell’estate del 1820 iniziò a comporre tre Sonate per pianoforte, di cui solo una, quella in mi maggiore (op.109), fu terminata alla fine di quell’anno. Le altre due, quella in la bemolle (op.110), e quella in do minore (op.111), furono completate fra il dicembre del 1821 e il gennaio dell’anno successivo. Nel 1822 ultimò finalmente la Missa Solemnis e iniziò a portare avanti la composizione della Nona Sinfonia, scrivendo contemporaneamente l’ouverture La consacrazione della casa, in occasione della inaugurazione dello Josephstadt Theater.
In quell’anno ricevette Gioacchino Rossini di cui lodò moderatamente Il Barbiere di Siviglia. Il 3 novembre il musicista tentò di ritornare, malgrado la sua totale sordità, alla direzione di un’orchestra in occasione della ripresa del suo Fidelio. L’esito fu disastroso. Se ne rese conto e scrisse a Ries nel dicembre: «Ringraziando Dio, Beethoven è in grado di comporre ma, lo ammetto, è tutto ciò che può fare al mondo». Anche il 1823 fu un anno di duro lavoro e soprattutto vide la stesura quasi definitiva della Nona Sinfonia. Non si trattò solo di lavoro compositivo, poiché Beethoven si diede da fare in quei mesi per vendere la sua Missa Solemnis in copie manoscritte. L’opera negli anni precedenti era già stata al centro di un’intricata rete di trattative fra il musicista e vari editori specializzati, una questione i cui risvolti finiranno per creare dissapori fra Beethoven ed alcuni suoi amici. Nei primi mesi del 1823 Beethoven fece anche il tentativo di assumere l’incarico di compositore della corte imperiale, essendo venuto meno il musicista Anton Teyber, che tale incarico aveva ricoperto fino a quell’anno. Benché vi fossero tutte le premesse per un esito positivo della vicenda (il maestro presentava la sua candidatura forte di una incontrastata fama di maggiore musicista vivente, e con l’appoggio di influenti protettori), le cose andarono per le lunghe e la composizione della Messa, che egli avrebbe dovuto dedicare all’imperatore in atto di omaggio, non fu mai portata a termine. Ultimata la Nona Sinfonia, in cui Beethoven aveva finalmente concretizzato uno dei suoi più vecchi progetti, cioè musicare l’Inno alla gioia di Schiller, venne il momento di eseguirla di fronte al pubblico, insieme ad altre opere appena completate. Sempre meno ben disposto verso il pubblico viennese, che egli accusava di seguire troppo la moda e di avere mutato gusto con troppa leggerezza, il musicista pensò di dare il concerto a Berlino. La notizia, però, si diffuse rapidamente tra gli ammiratori del maestro che gli spedirono una lettera in cui lo pregarono caldamente di non privare Vienna dell’onore di ospitare la prima rappresentazione delle sue ultime opere. Beethoven restò commosso dalla dimostrazione di affetto e di devozione che trapelava dalle loro parole. «Non negatevi più al godimento di tutti, … (non negate) l’esecuzione degli ultimi capolavori scritti dalla Vostra mano. Noi sappiamo che una grande composizione sacra si è aggiunta alla prima, nella quale Voi avete immortalato i sentimenti di un’anima, in cui sono entrate trasformandola con la loro forza, la fede e la luce divina. Sappiamo che un nuovo fiore risplende nella ghirlanda delle Vostre gloriose sinfonie, insuperate fino ad oggi. Non rendete vane le speranze di tutti. Bisogna forse dirvi quanto dolore ci abbia procurato il Vostro appartarVi dalla vita sociale? Bisogna forse assicurarVi che, quando Vi si guardava con grande speranza, tutti notavano con dispiacere che l’unico uomo che tutti noi riconosciamo come il più eminente nella sua arte fra gli esseri viventi, osservasse in silenzio l’arte straniera impadronirsi della terra tedesca …».
Beethoven decise di accettare la richiesta e il concerto fu fissato per il 7 maggio del 1824 al Kärnthnertheater, dopo che era stata scartata l’ipotesi di tenerlo all’An der Wien. Di fronte a una sala strapiena furono eseguite l’Ouverture (op.124), alcuni brani della Missa Solemnis e la Nona Sinfonia, sotto la direzione del maestro che, però, a causa della sua totale sordità era affiancato dal Kapellmeister Umlauf. Secondo il racconto di uno dei presenti alla fine dello Scherzo della Nonail pubblico esplose in un fragoroso applauso, ma Beethoven, essendo intento a sfogliare le pagine della partitura, non si accorse di nulla. Solo quando la cantante Caroline Unger lo prese per un braccio indicandogli la sala il musicista si rese conto, voltandosi, di quello che stava succedendo. Malgrado l’indubbio successo del concerto, la replica del 23 maggio fu una vera delusione per il maestro che, fra l’altro, contava molto su queste esecuzioni pubbliche da un punto di vista strettamente economico. Per quanto riguarda la Nona Sinfonia essa sarebbe stata dedicata al re di Prussia Federico Guglielmo III.
Forse non casualmente il periodo che vide la composizione della Nona e in particolare dell’Inno alla gioia, fu un periodo di riconciliazione del maestro con i suoi parenti. Dapprima egli riallacciò affettuose relazioni con il fratello Johann, poi, addirittura, mostrò più volte di volersi riconciliare con la cognata Johanna, mandandole in maniera anonima del denaro quando cadde malata, e permettendole di riappropriarsi di quella metà della pensione del marito che da tempo era stata destinata al figlio Carl. Quest’ultimo, dopo le tumultuose vicende giudiziarie che si erano concluse nel 1820, aveva frequentato fino al 1823 l’Istituto Blochinger, e poi si era iscritto all’università frequentando il corso di filologia. Era tornato a vivere con lo zio, ma ancora una volta non vi sarebbe stata una buona intesa fra i due. Nell’estate del 1824 Carl non accompagnò il maestro nelle sue vacanze estive e, nel periodo della Pasqua dell’anno successivo, traslocò nella pensione di Matthias Schlemmer. Trovava il comportamento di Beethoven oppressivo e soffocante e tentava in ogni modo di svincolarsene.
Nella primavera di quell’anno il musicista si ammalò piuttosto gravemente e trascorse vari mesi a Baden per rimettersi. Furono questi giorni di grande attività se si considera che scrisse il Quartetto per archi in la minore (op.132), che seguiva di poco quello in mi bemolle (op.127). Ambedue le opere gli erano state ordinate da un nobile musicista russo, il principe Golycin, per il quale sarebbe poi stato scritto nel corso della seconda metà del 1825 un terzo quartetto, quello in si bemolle (op.130). In questi mesi riesplose la polemica con Johanna, e Beethoven ricominciò a tempestare il nipote di rimproveri, avvertimenti e ricatti affettivi, facendolo controllare assiduamente dallo Schlemmer, e denigrandone sistematicamente le amicizie. La tensione fra i due raggiunse il massimo livello nel corso del 1826, anche perché Beethoven incominciò a sospettare che Carl avesse ripreso a incontrare segretamente la madre. La situazione precipitò il 29 luglio di quell’anno, quando il giovane, avendo acquistato due pistole, fuggì nelle vicinanze di Baden e lì tentò il suicidio. Ferito non mortalmente fu portato a casa della madre, probabilmente dietro sua richiesta. Beethoven, moralmente distrutto dalla vicenda, acconsentì a rinunciare alla tutela del nipote che passò a Stephan von Breuning. Per interessamento di quest’ultimo il ragazzo fu avviato, secondo i suoi stessi desideri, alla carriera militare. Prima di partire per il reggimento del barone von Stutterheim, passò un breve periodo con lo zio presso la casa di campagna di Johann Beethoven a Gneixendorf. Pure in momenti tanto drammatici il musicista non interruppe la composizione dei suoi quartetti, quello in do diesis minore (op.131) e quello in fa maggiore (op.135), che fu completato proprio a Gneixendorf. Si trattava delle sue ultime composizioni. Già al momento di partire da Vienna si trovava in un precario stato di salute, e quando vi ritornò insieme a Carl, il 1° dicembre del 1826, si mise a letto e chiamò un medico.
Aveva i piedi tumefatti e una grave infiammazione polmonare. Le cure a cui fu sottoposto gli procurarono un momentaneo sollievo, cosicché cinque giorni dopo sembrò che egli avesse superato la crisi e poté scrivere a Wegeler, rievocando gli ormai lontani anni della loro giovanile amicizia. Nei primi giorni del 1827 Carl partì per il reggimento e subito dopo Beethoven, cosciente di essere vicino alla fine, stilò un breve testamento in suo favore. Le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente con lo svilupparsi dell’ittero e dell’idropisia, sintomi chiari della cirrosi epatica che lo avrebbe condotto alla morte. Per alleviare le sue sofferenze il 20 dicembre i medici gli aspirarono il liquido che si raccoglieva nell’addome (l’operazione sarebbe stata poi ripetuta ancora due volte nel febbraio). Quando si seppe della prossima fine del musicista, iniziò un via vai di visitatori che non riuscirono a distrarlo dal suo cruccio maggiore il non poter comporre (« … la cosa più dolorosa per me è l’essere stato costretto ad abbandonare completamente la mia attività … », scriveva a Zmeskall in quei giorni). La Società Filarmonica di Londra, avendo saputo della malattia del maestro, gli inviò cento sterline come anticipo per una nuova sinfonia. Il 23 marzo scrisse con mano incerta ancora una volta le sue ultime volontà, con le quali ribadiva l’intenzione di lasciare tutto a Carl. Il giorno dopo entrò in coma per spegnersi nel tardo pomeriggio del 26 marzo, mentre su Vienna infuriava una tempesta di neve. Gli era vicino il musicista Anselm Hüttenbrenner che così narrò gli ultimi attimi di vita del maestro. «Un lampo seguito da un tuono illuminò improvvisamente la stanza. A questo inatteso segno della natura, Beethoven aprì gli occhi, alzò la mano destra stringendo il pugno per alcuni secondi con un espressione fiera e minacciosa. Quando la mano ricadde sul letto i suoi occhi erano chiusi a metà. Sollevai con la mia mano destra la sua testa e posai sul suo petto la sinistra. Non respirava più e il suo cuore si era fermato». Ai funerali che si tennero il 29 marzo parteciparono ventimila (o forse trentamila) persone e il feretro fu portato lungo il corteo dai maggiori musicisti viennesi. Al cimitero di Wahring l’attore Anschütz lesse il discorso funebre scritto da Grillparzer, prima che la bara fosse inumata. Dal 1888 le spoglie mortali di Ludwig van Beethoven riposano accanto a quelle di Franz Schubert presso il Cimitero Maggiore di Vienna.
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