Ricordare: un dovere morale e un impegno intellettuale

nell'immagine in bianco e nero si vedono bambini rinchiusi in un campo di concentramento nazista, che si appoggiano a un filo spinato
Bambini rinchiusi in un campo di concentramento nazista. L'immagine by Radio Alfa è concessa in licenza con CC BY-NC-SA 2.0

Nel tempo presente, denso di fenomeni di intolleranza, la giornata della memoria assume un valore particolare per le giovani generazioni e sollecita una più approfondita riflessione.

 

Ciò che avvenne quasi ottant’anni fa in Europa, cioè lo sterminio degli ebrei nell’Europa centrale, è ormai noto a tutti e condannato universalmente. I manuali scolastici di storia ne narrano la genesi e lo svolgimento e i ricercatori ne rivelano ancora nuovi e agghiaccianti particolari. Tuttavia talvolta sembra sfuggire l’unicità in ambito storico dell’ideologia nazionalsocialista che vi era alle spalle. Gli ebrei avevano subito ogni sorta di discriminazioni nel corso dei secoli. Si era trattato in generale di esplosioni di violenta rabbia omicida, che si indirizzava contro l’etnia giudaica con diversissime e pretestuose ragioni. Il razzismo hitleriano, maturato su una fantasiosa quanto criminale «teoria delle razze», fu tutt’altra cosa, molto più radicale e aberrante.

 

Di crimini contro interi gruppi umani purtroppo se ne trovano parecchi nella storia della civiltà europea. A partire dal XVI secolo inglesi, francesi e altri avevano ridotto in schiavitù e deportato decine di milioni di africani. Molti di essi erano stati uccisi o costretti a vivere in condizioni tali da determinarne la morte. Durante la rivoluzione francese si erano registrati efferati massacri, di proporzioni indubbiamente minori, ma animati da una implacabile ferocia ideologica. Nel corso della Grande Guerra i turchi avevano di fatto perpetrato il genocidio di una parte della popolazione armena, deportandola verso l’Est dell’Anatolia in condizioni disumane. E, infine, nei lager staliniani trovarono la morte milioni di piccoli proprietari contadini, i kulaki, che il regime rivoluzionario considerava irrimediabilmente nemici del popolo.

 

In tutti questi casi le motivazioni di tali eventi drammatici erano chiare. I neri africani erano considerati una razza inferiore, utile solo a creare benessere per i bianchi. La morte di molti di essi veniva considerata un danno economico. I massacri dei rivoluzionari francesi erano «giustificati» dall’intento di rintuzzare forze oggettivamente conservatrici, che si opponevano all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla  legge e a molte altre conquiste della civiltà moderna. Gli armeni erano visti dai turchi come una quinta colonna dei russi contro i quali essi stavano combattendo duramente. I kulaki venivano deportati in Siberia perché si opponevano alla socializzazione delle terre, ritenuta indispensabile per una più equa distribuzione della ricchezza.

 

Lo sterminio degli ebrei nessuna ragione o giustificazione razionale poteva avere. L’ebreo doveva essere eliminato in quanto malvagio per natura, anzi il male assoluto esso stesso. Che fosse un bambino di tre mesi, un vecchio novantenne, uno scienziato, un artista, un banchiere che poteva contribuire al benessere collettivo, non aveva alcuna importanza. L’ebreo è il nemico ancestrale con il quale non si può venire a patti, perché il suo unico scopo è il dominio del mondo e la schiavizzazione dei non ebrei. L’ebreo è come un’erbaccia, per sua natura parassita e sfruttatrice dell’umanità intera. Una razza inferiore, quindi, ma, contraddittoriamente anche un pericolo mortale per i veri uomini, da cui si volle distinguerli con il termine untermensch (subumano). Gli slavi e le altre «razze inferiori» avrebbero potuto servire il popolo signore germanico come contadini e operai, ma per gli ebrei si prospettò solamente la «soluzione finale» o, come precisò lo stesso Göring al processo di Norimberga, «totale».