In queste elezioni amministrative al silenziatore, si è fatta strada la quiete dopo la tempesta, dopo i terremoti in Parlamento, i paradossali e fuorvianti litigi interni alle coalizioni – soprattutto a destra, con la Lega smodata su tematiche delicatissime (green pass, e via tamponando).
Astensionismo vicino al 50 per cento. Ma non è mancato il giubilo. Soprattutto nel Pd, particolarmente in rapporto al suo presidente Enrico Letta candidato a Siena. Un partito che tuttavia continua a soffrire della disgregazione interna a cui un bel contributo ha dato Matteo Renzi, a partire dalle primarie del 2013.
I bàrbaroi
In quella circostanza, ogni cittadino italiano poteva votare, anche se non iscritto al partito, e così i fan esterni del candidato Renzi, spontanei o indotti, pagando due euro ciascuno (gli antichi greci li avrebbero chiamati i “bàrbaroi”, stranieri, ospitati, intrusi) hanno supportato non poco il rottamatore.
Bravissimo in questo, il Pierino della politica. Chissà, forse in una sua precedente vita sfasciava automobili o carrozze (dipende dall’epoca in cui ha cominciato a fare danni). Ha un bel curriculum, infatti: ha sfasciato il pd, ha sfasciato “motu proprio” un governo in piena pandemia… Talmente bravo in questo mestiere che è stato capace di sfasciare persino se stesso dopo il successo del 40% alle elezioni europee del 2013, per poi passare a una “Italia Viva” ma claudicante, ora persino con le stampelle dell’1% (eh sì, per lui, davvero, 1 vale 1).
Il calo dei consensi e le redini di Conte
Forte calo dei consensi, non solo nella Lega, ma anche nel M5S, quest’ultimo, a causa del clima generale a cui ho fatto cenno e anche delle proprie vicissitudini patite, tra scissioni e instabilità.
Certo, Conte le redini le ha prese tardivamente. E così, ad esempio, la candidata sindaca a Milano Layla Pavone, ricca di esperienza manageriale e dell’universo digitale, sì, ma solo all’ultimo momento è stata prelevata dalla vita civile e presentata ufficialmente dal presidente e, grazie agli attivisti di base nel capoluogo lombardo, ha potuto almeno affermare la presenza di una lista M5S ben impegnata seppure non favorita dalle circostanze. Dal canto suo, la sindaca uscente Virginia Raggi si era data da fare lo stesso in modo autonomo e con largo anticipo, costituendo un avamposto assieme agli esiti di buona competizione registrati soprattutto a Napoli, Bologna, Torino.
Il bioritmo di Salvini versus il nuovo corso del M5S
Il nuovo corso intrapreso in fretta e furia dal M5S coincideva col nascente clima di astensionismo che oggi è sotto gli occhi di tutti. Spacciato, come dicono alcuni commentatori. Renzi ne ha fatto persino la prognosi esatta, a breve scadenza, ovviamente. Ma è facile che questo nuovo corso, così poco diffuso e ancora colto da pochi, dia a quel Movimento nuovi impulsi per guardare al futuro con forza. E forse sarà lo stesso, ma ben diversamente, per la Lega, a dispetto delle batoste. Potrebbe aprirsi una involontaria gara di crescita postbellica tra i due simboli politici particolarmente penalizzati.
Salvini continuerà col suo bioritmo: di notte pensa e al mattino seguente alza una bandiera. Conte, durante la campagna elettorale, ha insistito su alcuni dei vecchi principi assieme ad altri innovativi; Ma non ci sono dubbi che ad avere più chance è Conte. Egli ha appena iniziato un cammino, mentre Salvini ha superato la sua acme. Inoltre, Conte avrà il suo vero banco di prova alle prossime comunali del 2022. E in quella tornata, andrà liberamente – ancora più di adesso – senza necessità di Grill Pass.
Il potenziale vantaggio
Ma ci sono altre circostanze a favore del M5S. Salvini dai suoi elettori ha avuto un no (ed essi, se proprio impenitenti, possono andare tranquillamente in altri lidi), Conte l’astensione. Ancora: il messaggio di rabbia arrivato al leader pentastellato non è rivolto a lui personalmente, ma alla pesante involuzione del Movimento nel momento in cui ne ha preso la gestione, cosa che peraltro ha dato ali all’idea di affidare al professore il compito di rimetterlo in sesto. C’è poi un dato oggettivo importante da considerare, che a votare è stato un quarto dell’elettorato generale e poco più del 50% degli aventi diritto. Facile dire quindi quanto poco affidabile sia la tentazione diffusa di trasferire l’analisi di questo voto sul terreno politico nazionale.
Soprattutto, è rilevante il fatto che i simpatizzanti cinque stelle astensionisti verosimilmente guardano a sinistra. Questo perché l’astensionismo è serpeggiato ovunque nelle periferie. Si tratta, cioè, di gente che non può non guardare a una sinistra affidabile.
La gente indifesa
Infatti, la gente non è un’astrazione. La gente sei tu, lui, il tuo vicino, quelli che insistono in un territorio, con la loro vita più o meno serena o tesa, o con disperazione, preoccupazione, e senso di impotenza verso i governanti spesso a dir poco distratti. È la gente indifesa, più vulnerabile che è la stragrande maggioranza di ogni territorio periferico. Che è poi anche la grande realtà, il vivo “luogo” dell’autenticità, portatrice di fermenti locali (dall’economia alla cultura) e dove le emergenze permanenti del pianeta trovano una sensibilità spiccata.
I fermenti della periferia
Peraltro questi fermenti sono l’unico contraltare alla globalizzazione addomesticatrice e amorfa a cui non puoi lanciare uno sputo in faccia, perché non la vedi. All’opposto, ogni individuo che compone la gente del territorio ha nome cognome e inconfondibili tratti somatici.
Ma il problema è che nell’orizzonte politico italiano, in questo preciso momento, non si vede nessun simbolo politico che pensi alla gente come obiettivo fondamentale, inequivocabile, frontale, prioritario. Vale anche per il Pd per come si è trasformato, revisionato e per la quieta (quiete inevitabile?), oltre che elegante gestione del suo presidente. Altri simboli minuscoli, magari apparsi o riaffiorati occasionalmente in queste elezioni, sono poco significativi allo scopo.
A promettere in modo insistente un progetto che comprende una simile bandiera (e quindi è il caso di monitorare) è il M5S di Conte. Nell’occasione delle sue apparizioni ufficiali per le amministrative, il presidente ha costantemente messo l’accento sull’etica pubblica (con formazione di nuove classi dirigenti), sull’impegno per la gente e nelle periferie. Subito dopo il voto, a proposito di possibili ballottaggi, ha escluso ipotesi di collusioni con la destra. Chiaro, questo orientamento netto del M5S richiede approfondimenti al suo interno e comunque il tempo necessario perché si sedimenti, in maniera da consolidare la sovrapposizione tra la parola e la cosa, per parafrasare Michel Foucault.
Ut sementem feceris, ita metes
Non può certo bastare un messaggio lanciato durante la campagna elettorale, per quanto convinto e forte, specie se gli elettori sono irritati e implosi a casa. Grillo garante non è certo un problema, l’importante è avviare un corso davvero nuovo, dire con fermezza che il Vaffa appartiene ad un’altra stagione e che a sostituirlo è un claim tipo “facciamo e costruiamo per la gente”. Nel post-populismo tutte le idee e gli obiettivi devono essere netti.
Il presidente del M5S ha mostrato di essere ben consapevole di quanto complessa sia la situazione e ha sottolineato che il M5S sta vivendo un periodo di semina. E, si sa, chi semina raccoglie (quello che ha seminato).