Malumori, attacchi strumentali, populismi. Ma ogni nazione sente la propria appartenenza alla Ue. Prima o poi, trovandoci in Usa, a chi ci chiederà “di che nazionalità sei?”, non risponderemo in prima istanza, sono spagnolo, ma, appunto, europeo. Insomma, nessuno, alla fine, pensa davvero che sia plausibile uscire dall’Europa. (La Brexit è storia a parte, lunga da ricordare qui). Si può addirittura dire che, da poco, questo sentimento di appartenenza si è fortificato. Lamentarsi è lecito e opportuno specie se si vuole migliorare. E come non farlo a proposito della politica estera della Ue? Proprio questa querelle sottolinea la fiducia, anche se inevitabile, nell’Europa. Ogni nazione-membro ha i suoi problemi strutturali e rifondatori. E così porta nel contesto della politica del continente le proprie specifiche condizioni o istanze con la loro inevitabile priorità. E si sta prendendo sempre più coscienza che queste esigenze interne bisogna affrontarle non chiudendosi in casa, ma almeno con un occhio alla Ue. E questo non solo per chiedere soldi.
Ma chi si occupa della politica estera? I ministri preposti seguono la propria agenda con attenzione primaria alla propria nazione e poi si incontrano fra loro. E in questo secondo caso che fanno? Discutono, si confrontano, come è opportuno fare. Ma come e quando si prendono le decisioni formali e ufficiali? La domanda è retorica, non fa riferimento alle procedure istituzionali. Ciò che manca è la “cosa”, vale a dire quello che si fa. Che fa la Ue ufficialmente, formalmente, in politica estera? Poco o niente, come è noto. E l’assurdo è che questo accade in un periodo di forti tensioni internazionali, mentre la geopolitica si va riconfigurando. Stanchezza del “vecchio” continente? Allentamento della concentrazione per l’alta densità demografica? Come simbolicamente mostra l’immagine di Gabriele Artusio. Si aggiunge il fatto che la Germania-pilota si è un po’ indebolita, dovendo anch’essa dare maggiore attenzione alla policy interna. La conclusione è che i ministri degli esteri non producono esiti concreti. Soprattutto perché entrano in gioco, nel loro lavoro, problematiche di fondo e complesse che attengono, appunto, all’«ubi consistam?» o alla tenuta e ai destini della Ue. Come detto in altre occasioni, è tempo di costituente, cioè di responsabilità e di decisioni assunte da strutture complesse, articolate (politici e specialisti interdisciplinari) impegnate a produrre proposte determinanti, tali perché frutto di investitura e autorevolezza.