Ci sono tanti tipi di guerre, di religione, d’aggressione, difensive, coloniali, ma l’epoca attuale ne ha inventato un altro genere: la guerra umanitaria. Il principio su cui esse si basano è che non si può ignorare ciò che avviene entro i confini di uno Stato, se si è certi che in quello Stato si violano palesemente diritti umani che sono enunciati nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.Occorre intervenire perché il rispetto dei diritti umani, essendo un principio universale, è più importante della sovranità del governo di una nazione. Ma non sempre è così.
Durante gli anni della guerra fredda, sovietici e statunitensi si guardarono bene dall’intervenire in un Paese sotto l’influenza della superpotenza avversaria, anche se l’opinione pubblica mondiale denunciava gravissime violazioni del diritto commesse in quel Paese. La pace mondiale era molto più importante della difesa dei diritti umani. Qualche intervento fu effettuato, ma ciascuna superpotenza agì nella propria area di influenza.
A partire dal 1989 le cose cambiano, almeno parzialmente. Subito dopo il crollo del comunismo, nel 1999 la Nato si arroga ufficialmente la facoltà di intervenire laddove i diritti umani siano violati in maniera sistematica. Certamente l’intervento armato deve essere richiesto dalla comunità internazionale, ma qualche volta ciò non accade. Per esempio, proprio in quell’anno, viene messa in atto da parte dei serbi una “pulizia etnica” ai danni dei musulmani della regione del Kosovo.
Benché il Consiglio di sicurezza dell’Onu non approvi l’intromissione della Nato, per il probabile veto di Russia e Cina, i bombardieri dell’alleanza colpiscono pesantemente l’esercito serbo e parte della popolazione civile. Appena cinque anni prima, invece, nessuno interviene a fermare il genocidio che insanguina per 100 giorni consecutivi il Ruanda, facendo almeno 500.000 vittime. Tale diversità di atteggiamenti di fronte alla questione dei diritti umani fa emergere un’amara verità sulle relazioni internazionali.
Gli interventi armati che si attuano sono fittiziamente giustificati da ragioni morali, che nascondono la realtà di interessi politici e economici.
Ciò è confermato dal fatto che storicamente non si sono registrati interventi armati portati avanti da una grande potenza contro un’altra grande potenza per ragioni puramente morali. Si sono invece registrati atteggiamenti di totale indifferenza quando le violazioni avvenivano – e avvengono – sul territorio di Paesi “amici”.
Il problema che quindi resta insoluto è il seguente: come introdurre principi etici nelle relazioni internazionali?