Pandemia globale come guerra?
Non ho visto la prima guerra mondiale. Non ho visto la seconda. Questa circostanza, assieme alla consapevolezza via via acquisita dei grandi movimenti e sommovimenti socio-economico-culturali verificatisi intorno a ciascuno dei due conflitti mi hanno fatto sentire carente di qualcosa di importante. Col tempo questa sensazione si è tramutata persino in un senso di profonda e perturbante normalità. E poi avevi capito che la fortuna o la sfortuna di tanti intellettuali erano legate a quegli eventi bellici, enormi e sotto vari aspetti entrambi assolutamente inediti. Di noto c’era una militanza socioculturale forte, a partire dall’esperienza futurista.
Non saprei dire se sarei stato interventista o no. Dico solo che quel clima forte non l’ho vissuto. Sì, gli anni settanta, sì li ho vissuti, eccome, anche con la consapevolezza del clima internazionale. Ma risultava chiaro che ogni Paese aveva le sue gatte da pelare. La politica internazionale era, certo, interconnessa, ma sentimentalmente veniva dopo. O qualche volta prima, quando essa aveva influenzato il singolo Paese. Ed è chiaro che i Settanta, pur presentando caratteri tipici e forti rispetto ai Sessanta – ho proposto e sostenuto in varie sedi questa tesi – hanno il proprio motore primo nel movimento sessantottino che era decisamente internazionale, anche se nell’ambito della cultura occidentale.
Ma di veramente internazionale nei Settanta ci fu la crisi del petrolio, l’inquinamento ambientale (cosa di cui non preoccuparsi subito, molti pensavano), e altro ovviamente. E le guerre sempre a mietere morti in periferia, lontano dai centri dell’establishment occidentale. Periodo molto caldo. Sì ho militato in modo diretto nel sociale, particolarmente nel terreno rivoluzionario delle emittenti private.
Ma malgrado tutto questo, ciò che non coglievi era il coinvolgimento mondiale simultaneo quale era stato proprio delle due grandi guerre, specie la seconda.
Per piacere, nessuno mi faccia dire adesso che sono felice del fatto che una nuova inusitata guerra mondiale sia in atto sotto forma di pandemia globale. Piuttosto credo meriti sottolineare che il nostro è il tempo delle deleghe. E il loro fondamento giurisprudenziale ed economico dice che esse presuppongono un comando centrale e forte che si fa tentacolare, e persino si parcellizza, sicché tutto il tessuto sociale finisce col metabolizzarle.
Né, peraltro, intendo recitare il rosario del complottismo: i sospetti o i dubbi non possono tramutarsi in convinzione. Un giorno sapremo di più e meglio. E probabilmente ci confermeremo in modo totale nella vulgata del caso.
Ma vado avanti. Si tratta di pandemia globale che coinvolge il mondo intero, si tratta del fenomeno distruttivo “più mondiale”, appunto, mai registrato. Ma non ne sono felice, ovviamente. Come, probabilmente non lo sarei stato se si fosse trattato di vera classica guerra, magari con la ciliegina sulla torta di Hiroshima e Nagasaki. Questa “guerra” – si direbbe meglio questa “overwar”, e comunque questo disastro – scoppia nel momento in cui Usa e Cina si fronteggiano sul terreno delle vicende economiche mondiali.
Cosa combina il caso? Produce l’allentamento della tensione dei mercati di tutto il mondo, infligge una battuta d’arresto al progetto espansionistico cinese, impoverisce ulteriormente i Paesi economicamente deboli (anche l’Italia tra questi), destabilizza la gente che vive in sofferenza e precarietà (persino disorientata al livello dei riferimenti etici), blocca le new generations nel tunnel, stravolge la geografia dei sentimenti e del vivere sociale, distrugge la vita privata dell’individuo, uccide tanta gente magari dopo terribili sofferenze, lascia i guariti e gli asintomatici nel dubbio sugli strascichi e sull’evoluzione del contagio pur se debellato, non consente a nessuno (tranne ai grandi fratelli dell’economia) di fare progetti di alcun genere, ti lascia nelle condizioni di non sapere se quando e come la pandemia scomparirà.
Se: Il “se” non è retorico. Infatti, come dicono taluni ricercatori, la pandemia globale ben potrebbe tramutarsi in epidemia, un sorta di nuova normalità e di convivenza possibile che non l’annientamento del virus. E intanto siamo invitati ad osservare tutte le precauzioni opportune, con una specie di spirito di adattamento. Anche perché passerà del tempo prima che ci si possa giovare fiduciosamente e diffusamente di vaccini e di terapie ben specifiche.
Si pensi inoltre a un altro involontario casuale problema: il bombardamento mediatico, appunto inevitabile, dei media, in tutto il mondo. Clima di incubo, quindi. C’è qualcuno che gioisce in questo momento? Sì, anche questo per volontà del caso. D’altra parte, cosa dovrebbero fare talune global case farmaceutiche, se non il proprio lavoro. Anche perché a ogni essere su questa terra non resta che confidare in esse. Straguadagnino pure. L’importante è che ciò che ci ammanniscono non sia “politically correct”, ma sia deontologicamente corretto.
Una domanda banale: una tale situazione attesta che si tratta di qualcosa di più o di meno rispetto alla guerra mondiale? Escludendo, ovviamente, l’ipotesi di un conflitto con l’uso di armi ultratecnologiche e micidiali e inumane di cui si dispone oggi, la guerra uccide all’impazzata, combina disastri tremendi, tutti ne subiscono le terribili conseguenze. E quindi ogni potente si guarderà bene dal farne uso, come è stato finora e come speriamo si continui. Ma, esclusa questa ipotesi, insisto nel paragone con le grandi guerre per rilevare che, una volta finite, tutti hanno il muso rivolto in direzione del futuro, del dopo. Ma, nel caso di questa pandemia globale, chi riesce a prefigurasi realisticamente il dopo? Un gran lavoro attende sicuramente tutti, e tutti gli specialisti, non ultimi gli psicologi. Si pensi alle menti guastate dalla prima grande guerra, figurarsi allora cosa combinerà questa overwar. Tutti saremo chiamati a diventare aedi che biascicano a figli e nipoti cosa è stato il Covid-19 nella sua lunga fase acuta.