La Cina ha sbalordito il mondo, e non solo l’Italia con la sua parsimoniosa burocrazia: un nuovo ospedale costruito in dieci giorni. In quel momento il resto del mondo la pensava così: ci dispiace, per fortuna che noi siamo lontani, speriamo di non essere contagiati. Polemiche a non finire intorno al coronavirus. Questo già subito in Cina: silenzio stampa, notizia sull’epidemia non diffusa prontamente diffusa. Poi muore, per contagio, un eroe dell’epidemia, il medico che aveva osato diffondere alcune verità provocando una forte reazione del governo contro di lui. E poi i numeri in Cina aumentano continuamente. Poi Medio Oriente.
Poi? Poi Corea del Sud, Cambogia, Algeria, Australia, Afganistan, Brasile, Canada, Italia. La Penisola si ritrova al top, e gli altri Paesi EU, malaccortamente sentendosi miracolati, a gridare all’untore, all’Italia. In questo facevano bene, e però male nel sentirsi privilegiati. Certo, uno pignolo agevolmente può osservare: sì, si parli di pandemia, se si vuole, ma ancora tanti Paesi e varie aree geografiche sono immuni. Immuni, forse, ma non immunizzati. Nessuno lo è su questa terra. Dappertutto nel mondo la voce politica, certamente col conforto degli scienziati, rassicura i propri consociati.
Ma i numeri salgono continuamente, ora anche in Usa. In Italia, pochi giorni fa, nell’arco di 48 ore, sono stati registrate 500 nuovi contagi. I media ripetono un confortante ritornello: niente eccessivi timori e soprattutto niente panico; non è certo una normale influenza, quindi cautela, ma non è poi così terribile. Ancora, ciò che i media non possono non sottolineare è che il virus ha una grande capacità di diffondersi. Tutto vero – come confermano virologi e altri specialisti; anche quest’ultimo rilievo sulla facilità a propagarsi. Tra l’altro, la società non può bloccarsi e le inevitabili misure di compromesso che saranno adottate non arresteranno la diffusione. Con grandi sacrifici economici e psicologici (depauperamento della vita normale), potremo solo calmierarla, ma per brevi intervalli.
Un altro dato non meno importante viene pur sempre dagli specialisti: perché si arrivi a disporre di un vaccino passerà almeno un anno, a causa delle sperimentazioni, valutazione della sua tollerabilità ed efficacia, poi produzione, distribuzione, ecc. Due conti della serva, allora: si diffonde con sorprendente facilità, inoltre prima di un anno – e se va bene – sarà molto difficile disporre di un vaccino; dunque, quale sarà il risultato? Che la propagazione sarà sempre più capillare, tra asintomatici, sintomatici, ignari che magari tali resteranno, e così via distinguendo. Ringraziando il cielo, la letalità non è alta, o è bassa. Per non dire, e lo ripetono continuamente gli esperti, che le terapie prestate sono, o non possono essere specifiche e mirate:
Ma quale è ormai il vero grande problema, oltre alle cautele che penalizzano non poco, e non solo sul piano economico? Il problema è che molto probabilmente il numero degli infettati sarà sempre più alto e supererà di gran lunga quello delle guarigioni. A tal punto che le strutture di tipo ospedaliero di cui è dotata ogni nazione saranno insufficienti. Anche perché in genere sono strutture che si occupano delle patologie normali o urgenti di routine. anche se non emergenziali. E le malattie non emergenziali non si metteranno da parte per lasciare il posto al Covid-19.
Dunque, se si vuole pensare alla salute della gente occorre premunirsi di nuove strutture specializzate o di adattare strutture destinate ad altro. Ospedali, ospedali ospedali, medici medici medici. Questo subito e non quando l’emergenza sarà di botto ingestibile. Qualunque sia il suo grado di aggressività, con la parola pandemia probabilmente ci abitueremo a convivere per un tempo non breve. Pandemia, la nostra convivente.