Pensare che anni fa gli ulivi secolari della Puglia stavano per diventare patrimonio Unesco. Oggi invece a causa della diffusione della Xylella si stanno trasformando in scheletri in gran parte del Salento. E il batterio avanza impietosamente verso la Valle d’Itria, con una velocità di 25 chilometri l’anno. Ma dentro l’emergenza principale, quest’anno se n’è creata una da non sottovalutare: gli incendi.
Il Salento brucia. Devastanti incendi si stanno abbattendo su campi di uliveti disseccati da quella che ormai possiamo definire la peste degli ulivi. Il presidente della Coldiretti Puglia recentemente li ha paragonati a dei “paesaggi lunari”. Certo, si potrebbe pensare, meglio che brucino quei cimiteri di ulivi. Già, perché se si attraversa il Salento ci si accorge del disastro ambientale che silenziosamente sta snaturando l’essenza di un territorio.
Il disseccamento delle piante colpite dal batterio, infatti, ha da tempo causato un abbandono degli uliveti infettati e dunque un progressivo degrado delle campagne salentine. Di certo abbandono e mancanza di manutenzione del territorio favoriscono gli incendi. Ma c’è di più: incendi così massivi, che si configurano come un vero e proprio episodio di landgrabbing, riflettono la sfiducia endemica nella possibilità se non di una cura quantomeno di una convivenza con la malattia. Certo, la cura alla Xylella non si è trovata, e i fondi stanziati di recente dalla Regione Puglia incentivano l’eradicazione degli olivi colpiti e la sostituzione con varietà apparentemente resistenti come leccino e favolosa. Eppure qualcuno sta provando a convivere con il patogeno: pensiamo al ricercatore Marco Scortichini, che ormai da alcuni anni ha messo a punto un protocollo alternativo all’abbattimento delle piante basato sull’utilizzo di corrette prassi colturali e di un preparato a base di zinco, rame, acido citrico.
Nel frattempo, tra un incendio e l’altro, l’epidemia si appresta a raggiungere la Piana degli ulivi secolari, un’area con un’altissima concentrazione di ulivi millenari che sembrerebbero avere circa 3mila anni. E allora, di fronte ad abbattimenti e incendi, ben vengano progetti come quello dell’associazione ManuManu Riforesta, che, partendo dalle ultime chiome verdi di querce ancora presenti tra gli ulivi morenti, mira a ricreare un’antica foresta nel cuore del Salento. Un progetto destinato a preservare l’identità del paesaggio, allontanando lo spettro della monocultura che il reimpianto forzoso di ulivi resistenti alla Xylella sta configurando.