Nicola Salvatore ha in corso, fino al 5 aprile, una mostra a Roma, al Circolo degli Esteri. Col titolo “Il canto delle balene”. L’iniziativa è patrocinata dal presidente dell’istituzione Luigi Maria Vignali, dagli ambasciatori Gaetano Cortese e Umberto Vattani e dal critico Carlo Franza che ne scrive la presentazione. Per l’occasione qui di seguito una testimonianza di Carmelo Strano.
Nicola Salvatore, artista naturalista
Una bella avventura, la ricerca di Nicola Salvatore, artista non avventuriero, attivo da decenni in Lombardia, proveniente dalla Campania. Tra le sue passioni, Beuys e una natura intellettualizzata, ma non per questo tradita né agiografata.
L’artista è un naturalista che medita sulla natura per farne un suo alterego, una sua alterità, ma partendo da spaccati emblematici di natura vera, integra, autentica.
È il caso del suo interesse per la balena, che studia quasi alla maniera leonardesca, reinventandola anatomicamente, ma per interessi eminentemente artistici. Nel cetaceo, la cui suggestione probabilmente è mediata dal famoso romanzo di Hermann Melville, Salvatore riversa talune simbologie a spinta esistenziale, come la conoscenza o riflessione approfondita sulle dimensioni estreme vita-morte.
Arte e cibo, una relazione inedita
In ogni caso, il lettore rimane affascinato dall’eleganza del suo inconfondibile segno pittorico, immaginativo, impaginativo o dalla elaborazione tridimensionale di esso nel caso della scultura. D’altronde in ognuna delle fasi che ha attraversato sin dagli inizi degli anni Settanta (è nato nel 1951), Nicola Salvatore ha impresso una sua impronta forte. Vale anche per due esperienze singolari. Una riguarda il rapporto arte e cibo. Unica esperienza nel mondo accademico italiano. Presso la propria aula all’Accademia di Brera (è stato titolare di Pittura) a metà degli anni Novanta apre la “Trattoria da Salvatore”. Si cucinava e mangiava davvero (una volta è toccato a chi scrive fare il cuoco proponente un pranzo “Dora”, di docile razionalità).
La difesa della natura, Nicola Salvatore come Joseph Beuys
L’altra esperienza riguarda il suo rapporto ideale e profondo con Beuys. Ne ha parlato in modo approfondito, un anno fa, Cecilia Liveriero Lavelli, autrice di una monografia capitale quanto appassionata sull’artista tedesco (Joseph Beuys e le radici romantiche della sua opera, CLUEB, Bologna, 1995). Interessante sentirla almeno in un passo che sottolinea un interesse comune ai due artisti: “L’urgenza di andare oltre la pelle delle cose, di non limitarsi a rappresentare il mondo in cui si immergono, ma di riportarne alla luce le contraddizioni, i bisogni nascosti, le viscere e gli scheletri, in ‘difesa della natura’, come dice Beuys, e per ‘la follia di voler dominare la natura’, come ribadisce Salvatore”.
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