Dal “parlare” al consumatore al “parlare” con il consumatore. Dal comunicare al consumatore alla comunicazione con il cervello del consumatore. Marketing, si volta pagina. Dall’era delle 4P (prodotto, prezzo, promozione e posto di distribuzione), si è passati all’epoca del neuromarketing, disciplina che unisce le neuroscienze con le tecniche di vendita e di posizionamento di un prodotto/servizio. Consumatore razionale, addio. Secondo una ricerca del 2018 effettuata da Ainem, Associazione Italiana Imprese di Neuromarketing, a prevalere sulle decisioni di acquisto, nella maggior parte dei casi effettuate di impulso, sono le aree inconsce della nostra mente, soprattutto in una società iperconnessa. Le emozioni del cliente, fino a poco tempo fa quasi del tutto sconosciute, oggi si possono misurare con tecnologie biomediche come l’elettroencefalografia, l’eye tracking oppure la risonanza magnetica funzionale. Per scoprire non solo la preferenza nei confronti di un determinato prodotto, ma anche dei valori fondanti che esso esprime e che, generalmente, se acquistato, fanno essi stessi parte dell’universo valoriale ed emotivo del cliente. Che chiede non solo beni e servizi, ma anche emozioni ed esperienzialità, anche all’interno di un punto vendita.
Il neuromarketing è una disciplina multitasking che sarebbe riduttivo associare solo alla funzione aziendale del marketing e delle vendite, in quanto può essere applicata anche alle risorse umane, al packaging di prodotto e al design. Alle grandi multinazionali come alle pmi (piccole e medie imprese). Molto spesso adagiate nella propria “area di comfort”, ovvero in rituali fondati “sull’eterno ritorno dell’identico”, molto spesso le aziende non riescono a cogliere le opportunità di questa disciplina, il cui target è il cervello del consumatore, vero e proprio punto di partenza dal quale fare partire una ricerca ad hoc, magari affiancata ad una tradizionale di tipo quali–quantitativo. Il consumatore, da parte sua, considerando anche la diffusione dei social network come strumento di ricerca di informazioni, è dotato di una “razionalità limitata” e di una mancanza di autocontrollo che lo spinge verso gli acquisti di impulso. Emozionalità, quindi, concepita come un’elaborazione rispetto a uno stimolo esterno, e affettività, che risiede in noi in maniera automatica sin dalla fase pre-linguistica.
Questa disciplina rivoluziona anche il visual dei manifesti pubblicitari presenti in città. Un esempio? Se il volto del testimonial di una bevanda “cannibalizza” il prodotto reclamizzato, è sufficiente trasformare l’orientamento degli occhi della modella in direzione di questo, per aumentare la brand awareness dello stesso. D’altronde, l’eye tracking, metodologia biomedica che analizza i punti di fissazione oculare, in questi casi, docet. Anche per lo studio di un corretto packaging, considerato “l’abito” del prodotto. Lo dimostra una ricerca effettuata da Cias Innovation, Centro Italiano di Analisi Sensoriale, basata su tre fasi: assaggio cieco del prodotto, valutazione del packaging e assaggio del prodotto brandizzato non più alla cieca. Dopo il confronto con i competitor del supermercato e quello delle due proposte grafiche, queste ultime sono state valutate individualmente grazie a questa tecnologia, che ha rivelato i punti di maggior attenzione degli occhi dei partecipanti. Il neuromarketing, inoltre, può essere applicato anche al riposizionamento di un prodotto, non solo alla sua introduzione sul mercato, oppure, sempre attraverso l’eye tracking, mappare le immagini di un sito internet considerate più impattanti dallo stesso consumatore.
Molto interessanti anche i cambi di paradigma nel settore turistico: un esperimento di eye tracking svolto al terminal crociere del Porto di Cagliari, ha dimostrato, infatti, che le persone non sono attratte dai negozi che, per esempio, vendono prodotti tipici locali, ma dal servizio di noleggio ubicato vicino all’uscita del terminal, lamentando anche la mancanza di posti a sedere. Occorre quindi ridefinire gli spazi di questo contenitore, così come ridefinire in toto la comunicazione, che deve essere all’insegna dell’empatia, dell’ascolto e della sensibilità del neoconsumatore.