Da Puobelle al cestino deli rifiuti
Da quando Eugène-René Poubelle, Prefetto della Senna per il Comune di Parigi, introdusse nel 1884 in città i contenitori per rifiuti in stagno e ne rese il suo uso obbligatorio per la raccolta differenziata “une pour les matières putrescibles, une pour les papiers et les chiffons et une dernière pour le verre, la faïence et les coquilles d’huîtres” la gestione della spazzatura iniziò una nuova vita. E il nome di questo illustre personaggio passò al bidone della spazzatura.
Anche il nostro Italo Calvino gli dedicò alcune sue pagine mirabili: La poubelle agrée, ovvero la pattumiera gradita, pubblicata nel 1977 sulla rivista “Paragone” apparirà in traduzione italiana postuma nel 1997 ne La strada di San Giovanni. Oggi le cose cambiano, e se le strade di molte nostre metropoli sono ancora infestate da rifiuti abbandonati, non ci curiamo di quello che accade nel mondo del digitale, e non solo in internet.
I rifiuti digitali
La produzione incontrollata di dati, testi, immagini, registrazioni di ogni genere si accumula e intasa non solo le memorie dei nostri dispositivi. Quando decidiamo di fare pulizia, se non è successo prima che il sistema ha fatto crash e abbiamo riformattato tutto, “buttiamo il bambino con l’acqua sporca”. In casa, di solito, abbiamo aspirapolvere, anche robotizzati, ma nel digitale cosa accade? Ho provato a digitare su Google “net garbage” e il primo di 51.600 risultati reca il titolo Fundamentals of garbage collection, Article 02/28/2023. Tutto molto interessante ma… come si comporta il Net Animal che di solito non si preoccupa a fare pulizia nelle sue “memorie”?
Una nuova etica delle “pulizie digitali”
La sovraproduzione di informazioni che sempre più caratterizza la società contemporanea sta rischiando di far collassare la stessa memoria collettiva, e se non si introduce una nuova etica delle “pulizie digitali” vivremo sempre più in un mondo più “sporco”. Già parecchi anni fa, guardando alla gestione dei musei della contemporaneità scrissi una serie di articoli apparsi sulla “Lettre de l’OCIM” con il titolo Détruire pour conserver. Prima di avere seri protocolli per la conservazione è necessario avere severe regole per la alienazione del superfluo: come dovremmo fare tutti già a casa nostra, pena di soccombere a quella che chiamai la sindrome del clochard, di chi non possedendo nulla, non butta via nulla.
Se non introduciamo l’uso di ramazze digitali e soprattutto se non educhiamo a “buttare via” qualcosa, non resterà più nulla. Già oggi non esistono più gli epistolari perché non si spediscono più lettere di carta con i francobolli, ma solo email… Non è un problema da poco.
Quando la nostra società ha subito la trasformazione industriale alle scorie materiai si sono aggiunte le scorie energetiche che non sono solo quelle nucleari: pensiamo solo alle batterie. Ora che alla dimensione materiale e a quella energetica si è aggiunto il digitale bisogna pensare anche a cosa l‘informazione produce.
I rifiuti digitali e il problema del riciclaggio
Se volessimo introdurre nella raccolta dei rifiuti digitali (che non esiste ancora) il concetto di raccolta differenziata che cosa mai potremmo inventare? Quando affidiamo a qualche provider, o a qualche cloud, le nostre centinaia di migliaia di immagini, con l’illusione di conservarle per sempre, non pensiamo che un giorno qualcuno dovrà provvedere a “fare pulizia”? ma come?
Non sono problemi da poco, perché il riciclaggio delle informazioni non è banale come – si fa per dire – il riciclaggio del vetro o della carta. Ma intanto le memorie virtuali dei NetAnimal continuano ad aumentare.