Che sia un docente di ingegneria informatica del Politecnico di Torino e ideatore del Nexa Center a scrivere un saggio intitolato Contro lo smatphone non deve stupire. Non è certo una “summa” come quella “contra gentiles” dell’Aquinate, ma bisogna in ogni caso mettersi a pensare. Tra le risorse vitali del Net Animal lo smatphone, e tutto il suo phylum fatto di componenti microelettronici e di logiche computazionali, arricchito di metalli che si chiamano rari perché sino a pochi anni orsono nessuno li teneva in alcun conto, è certamente al centro delle sue capacità di sopravvivenza. La specie Net Animal non è certamente composta da individui difficili da scovare sul nostro pianeta e neppure costituisce oggetto di particolari attenzioni da parte di chi si preoccupa della possibile fine del mondo. Ma… e questo è il secondo ma, che le pagine scritte da Juan Carlos De Martin che sollecitano soprattutto nella gente comune. Uno degli effetti principali che il vortice della tecnologia scatena nell’homo sapiens è l’indifferenza. La seduzione del nuovo, del bello e dell’accessibile (perché anche il fattore economico è di fondamentale importanza) non è stata ancora mai proiettata in uno scenario di neo-mitologia. Se parliamo delle Sirene, quelle che Ulisse temeva tanto da farsi legare all’albero della sua nave, ci mettiamo a sorridere. Sono favolette. Invece le considerazioni che emergono dalle pagine di questa piccola “summa” non vogliono di certo proiettarci in uno scenario di neo luddismo. La tecnologia non si può (né si deve fermare) proprio perché già nei tempi passati ha evitato l’estinzione della nostra specie. Ma perché mai accettare passivamente prodotti e “cose” che aumentano le nostre dipendenze da una realtà che rischia di dimenticare le nostre libertà. “Dopo circa un decennio di vasta diffusione dello smartphone, comincia a essere chiaro a tutti che gli innegabili vantaggi del dispositivo hanno un prezzo anche in termini di impatto sulla mente delle persone. I problemi principali sono due: dipendenza e ridotta capacità di concentrazione“, così leggo a pagina 123 di questo libro. A questo punto ci sarà certamente qualcuno che obbietterà che il digitale è ormai entrato a far parte della nostra componente evolutiva, che il digitale non è la materialità dei dispositivi elettronici e informatici, ma piuttosto l’oggetto di una rivoluzione che ci coinvolge soprattutto biologicamente. Le neuroscienze se ne stanno rendendo conto e probabilmente i primi effetti (ché già alcuni profeti scorgono) sono nei mutamenti nelle arti, visive e musicali: guarda a caso proprio gli effetti tecnologici che coinvolgono i nostri sensi distali, sempre più dominati da ogni medium. Se ci fosse ancora tra noi Marshal McLuhan forse affermerebbe che il medium è la vita. Io invece, nel mio piccolo, spero ancora che da qualche parte nasca un epigono di Gianni Rodari.