I documenti parlano, e anche la storia delle politiche culturali, alla luce dei documenti, è da ristudiare gettando nuovi sguardi su un passato che proietta le sue ricadute sull’oggi. Gli studi in danza stanno maturando esiti di rilievo proprio a partire dalle fonti prendendo distanza dal gusto, dalle categorie di giudizio estetico, e magari dal vissuto personale, che, a lungo, hanno velato un’osservazione più oggettiva.
Festivaliana di Giulia Taddeo, per i Libri di Emil, indaga a fondo in due festival capitali per la storia della danza in Italia, quello di Nervi nato nel 1955 e quello di Spoleto iniziato nel 1958, capofila dell’offerta di balletto e folklore, il primo, di balletto e danza, il secondo, dichiaratamente euro-americano e multidisciplinare.
Incrociando materiali promozionali, programmi di sala, articoli giornalistici, documenti amministrativi, reportage di foto e video, la danza che dal secondo dopoguerra è sbarcata lungo il mare della cittadina ligure, ad opera di Mario Porcile, e nella cittadina umbra per volontà di Giancarlo Menotti, viene riletta come bellezza colta per happy few e come arma di nuova inculturazione.
Nel caso di Nervi dando vita a un cenacolo d’élite di artisti e di ballettomani, di star, specie quelle inglesi, ma anche quelle russe che superarono la cortina di ferro e si fecero fotografare sugli scogli con gran glamour, nonché una giovanissima Carla Fracci; nei Parchi di Nervi si godeva di una vetrina di eventi mondani di classe, posti accanto a un lavoro pedagogico privilegiato (di qui verranno Vittorio Biagi e Paolo Bortoluzzi, talenti italiani poi entrati nel Ballet du Xxme Siècle di Béjart a Bruxelles), nell’intento di dar vita in Italia a un’attività modellata sul successo delle compagnie post-diaghileviane come quella del Marquis de Cuevas. Accanto a questa zona, di balletto occidentale, la sezione dei folklori dal mondo consentiva un viaggio postcoloniale nei virtuosismi esotici abilmente stilizzati. Alle soglie di un consumo culturale di massa, la formula collassò e il festival cambiò profilo più volte passando attraverso direzioni artistiche molteplici.
A Spoleto la vicenda della danza si legò fortemente alla politica di penetrazione degli Stati Uniti nell’Europa posbellica, anche in funzione antisovietica, con congrui finanziamenti USA tramite istituzioni e fondazioni para-politiche.
John Butler e Jerome Robbins furono portabandiera di una danza moderna che partiva dalla libertà individuale, che aveva in sé i propri valori peculiari, che era veicolo di inquietudini personali, affratellata all’astrazione espressiva degli artisti visivi e plastici del Nuovo Mondo.
Il capitolo Prove di danza italiana, infine, rende conto della difficoltà di traghettare il Paese da una fase spuria di danza moderna centro-europea mista alle punte, ormai lontana dalla grande scuola di Blasis, interrotta e migrata nel mondo, che troverà comunque in Carla Fracci la figura apicale nazionale per decenni.
Le battaglie per tornare alla nostra tradizione di contro ai portati dell’Accademia Nazionale di Danza di Jia Ruskaja, danzatrice libera giunta dalla Crimea a Roma via Svizzera, conquistando una posizione dominante con forti appoggi istituzionali, fu decisa; la lettera di protesta con firme illustri inviata al Ministro Rossi nel 1956 racconta da sé una pagina di storia controversa da conoscere.