Una Milano degli anni ’20.
Monterossi ci porta, col suo fare disincantato, in una Milano aggiornata, quella del post Expo, quella del nuovo skyline dei grattacieli del centro, quella che cerca di riscoprire il proprio lato umano. Non più solo la città da bere ma una città che da capitale dell’affare, della moda o delle televisioni diventa introspettiva e si domanda cosa sia rimasto in se di genuino. Cosa è rimasto della Milano della cultura, della multietnicità, dell’impegno e dell’autoironia di un tempo. Quella ad esempio di un Jannacci.
Il giallo all’italiana.
Il giallo, in Monterossi, assume un sapore nuovo. Scaturisce si dalla tradizione della letteratura di genere ma porta in se l’ironia della sapiente penna di Alessandro Robecchi e una sorniona critica al modello di spettacolarizzazione televisiva. Una sguardo disilluso e in parte rassegnato. Questo mondo non lo cambi no, ma tra le pieghe del quotidiano via vai esistono degli interstizi in cui rifugiarsi e concedersi di essere ancora romantici, umani e coltivare piccole fettine di giustizia sociale.
Mediaset e l’anima di un romantico
Da autore televisivo coinvolto suo malgrado nella realizzazione di una trasmissione che fa macelleria dei sentimenti, il protagonista, tenta di smarcarsi senza successo. Nel vederlo subire le insistenze dell’apparato televisivo e maldestri tentativi di ucciderlo, passa in secondo piano il fatto che lui è in una posizione da privilegiato. Autore di successo, benestante e belloccio ma con un malessere sordo. Un amore non corrisposto. Una perenne malinconia e un sottile desiderio di giustizia. Questi ingredienti gli conferiscono uno sguardo originale sulla realtà. Una realtà fatta di cinici ma anche ironici sicari, vecchie tensioni politiche, giornaliste d’assalto, giovani in cerca di una definizione sociale, vecchie volpi dell’intrattenimento e stanchi ispettori memori della vecchia Milano, quella in cui si sparava.
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