Milano riapre dopo la chiusura totale per la pandemia Covid durata tre mesi. Lo fa scoprendosi in una profonda crisi fiscale. Solo alla fine del 2019 Il sindaco Sala grazie alla vendita del Pirellino aveva incassato 184 milioni di euro. Li aveva impegnati sia nell’acquisto di tre nuovi edifici per gli uffici comunali in sostituzione di altri ormai decrepiti, che in un piano di restauro delle scuole. La situazione sembrava avviata dopo il 2019 a un altro anno di risultati positivi. Non è stato così. Le casse comunali nel 2020 patiscono non solo l’azzeramento dei dividendi di società come SEA, ATM ma anche la riduzione delle tasse incassate, gli extracosti per le sanificazioni della rete ATM e l’aumento delle spese del welfare. Si parla per i primi sei mesi del 2020 di un buco di 500 milioni di euro. Il sindaco Sala pensa al riavvio il più veloce possibile dell’economia cittadina. Il tentativo è di evitare per quanto possibile che i numerosi cantieri che punteggiano il tessuto metropolitano possano rimanere vittime di crisi di liquidità. Con trepidazione il Sindaco guarda anche alla riapertura delle università. Il posto che Milano dopo la crisi del 2008/2011 si era guadagnato sia come reputazione che come ruolo nell’economia globale era dovuto alla presenza di un vasto tessuto di competenze professionali cresciute attorno all’ecosistema universitario. Una crisi troppo prolungata e la conseguente ritardata apertura delle università può avere effetti catastrofici . Il rischio è di attivare flussi di competenze verso altre piazze all’estero. Milano nei prossimi mesi si gioca nuovamente posizioni che dava per acquisite. Si deve reinventare per l’ennesima volta, solo che questa è più complicata di altre. La crisi del 2008/2011 era sta brutale ,ma forse più semplice. Questa volta l’accelerazione è drammatica e se Milano vuole conservare il mercato del lavoro più qualificato d’Italia, va sotto gli acronimi di STEM e TMT, deve assolutamente mantenere quella qualità urbana che l’ha resa attrattiva negli anni passati. Per questa ragione nessuno nel mondo politico milanese, a qualsiasi forza politica appartenga, è disposto a rinunciare a finanziamenti provenienti dall’Unione Europea, qualsiasi sia la loro entità. Il ricordo della lunga e penosa transizione da excittà fabbrica disseminata di aree dismesse con perdita di popolazione è troppo recente per essere dimenticata. Ora il pericolo è un’adozione massiccia dello smart working e del lavoro a distanza con il conseguente svuotamento del tessuto urbano. E’ il pericolo più insidioso. Milano si gioca veramente tutto.