Le autorità russe negano il visto di entrata nel Paese ai lituani che si recano in Siberia per onorare la memoria dei compatrioti che vi furono deportati alla fine della seconda guerra mondiale. La ragione è che questi ultimi si erano schierati dalla parte dei nazisti durante la guerra e avevano tentato di resistere all’avanzata sovietica. In Lituania si rimuovono monumenti dell’epoca staliniana e si procede a una damnatio memoriae del passato regime, ricordando le vittime delle deportazioni del dittatore georgiano. Non molto differente è l’atteggiamento dell’opinione pubblica degli altri Paesi baltici liberatisi dal regime comunista dopo il 1989. Insomma, le piaghe storiche sono ancora aperte e per il momento non si rimarginano. Ciò avviene anche perché le stesse persone sono individuate, a secondo della prospettiva, come carnefici e come vittime. Come carnefici quando affiancarono i tedeschi nella brutale aggressione contro l’Urss, come vittime quando furono oggetto di drammatiche rappresaglie da parte di Mosca al termine del conflitto.
Ma non è solo una questione di relazioni internazionali. Per i russi postcomunisti si tratta anche di tentare un distinguo ideologico fra nazismo e stalinismo. Se il nazismo non può trovare alcuna giustificazione sotto il profilo morale, lo stalinismo fu certamente caratterizzato da brutalità inenarrabili, ma fu anche l’epoca dell’industrializzazione, dell’alfabetizzazione e della relativa emancipazione dalla povertà assoluta di decine di milioni di persone. Per non parlare, poi, del mostruoso tributo di sangue che venti milioni di caduti russi dovettero versare per resistere al nazismo e abbatterlo, nel momento in cui quasi tutta l’Europa si era arresa al dominio hitleriano. I lager siberiani furono un errore grave, secondo gli storici russi, da condannare moralmente, ma che nessuno pensi di poterli equiparare ai campi di sterminio nazisti.
Per altro la memoria non condivisa non è solo presente nell’Est. Forse bisognerebbe ricordare che nell’Europa occidentale la resa dei conti nei confronti dei collaborazionisti fu spesso cruenta, ma in parte giustificata dai vincitori, in nome del terribile pericolo corso di una incontrollata dominazione del Terzo Reich. Nel martoriato oriente europeo il tessuto sociale è stato ancor più lacerato per il fatto che alla brutalità dei nazisti fece seguito la brutalità dello stalinismo, creando due categorie di vittime. Come sempre accade, la prima vittima delle guerre è la verità storica di cui i vincitori assumono più o meno il monopolio. Ma ancora più importante è quel deposito residuale di odio reciproco che non si estingue facilmente e che ostacola i processi di riconciliazione, essenziali per scongiurare ulteriori escalation di ostilità, odio e, talvolta, violenza di cui certamente si vorrebbe fare a meno.