Antonio Moresco assolve il suo compito (quarta di copertina) con la benevolenza, scontata, di un amico. Ma, a parte la constatazione che questi racconti hanno la qualità esattamente opposta all’immobilità, non dice praticamente niente sulla loro densità e soprattutto sul loro valore tout court. Parla dell’autore come di persona mite, ai margini, tenace e irriducibile. La tenacia e l’originalità sono frutto di una radicata e poco condivisa convinzione e quanto ai margini e alla mitezza è esattamente l’opposto.
I racconti brevi, un genere da amare
Intanto mettersi a scrivere racconti, dopo Beckett e soprattutto dopo Raymond Carver, dimostra un coraggio raro. La narrazione di storie non è tramontata dopo la Trilogia o Cattedrale, ma la sinteticità, qualità poco apprezzata oggi dal pubblico, per Luigi Grazioli è essenziale: raccontare molto con poco. Che il pubblico snobbi le short stories è solo un prodotto dell’ignoranza di massa che caratterizza il periodo storico che stiamo attraversando: la gente ha bisogno di evadere con fatti più o meno eclatanti, ma soprattutto immedesimandosi con personaggi che per esistere richiedono tutto l’apparato psicologico e analitico necessario e questo, da duecent’anni a questa parte, solo un romanzo lo può fornire. E andando dietro a questo bisogno non si risponde all’Arte, che è sempre stata davanti!
L’attenzione si sposta sull’accennato
Qualsiasi fatto gli immobili raccontino, il baricentro è sempre spostato in qualcosa di non detto, in un vuoto di espressione: si accenna, non si esplicita, si fa capire senza dire niente o tutt’altro e gli argomenti ruotano sempre attorno alla scomparsa dell’autore, addirittura alla sua morte. Costui si sottrae, sia con l’arma dell’autodenigrazione o dell’autoironia, sia con la creazione di personaggi terzi che lo nascondono, ma da una distanza tale da essere sempre diversi.
Grazioli sfugge a ogni definizione: non vuole essere qui, istintivamente risponde alle Chiamate più astruse da parte di ignoti, percorrendo un metaforico raccordo anulare attorno a Roma, resta a custodire il centro di una famiglia sempre in movimento; fantastica su una carta di caramella disegnata da Rodchenko in piena carestia rivoluzionaria, aiutato dal totem del suo gatto sopra lo schermo televisivo o dalla sbarra orizzontale del suo balcone. Perché il suo sguardo è sempre orientato verso se stesso, ma non si vede o se si vede, lo fa con lo stesso disprezzo che regala malinconicamente un po’ a tutti.
Luigi Grazioli, autore coerente
Altro che mitezza, non è affatto un trucco letterario: Grazioli si disprezza veramente, è teso a creare un’opera dietro cui nascondersi, perché la macchina fotografica, infarcita di selfies, non lo colga. Non lo coglie e non lo coglierà mai più. Luigi Grazioli è coerente come nessuno oggi: occorre seppellirsi, Via dalla pazza folla, e non in viaggi stravaganti per lande desolate o esotiche, bensì in casa propria. Orazio diceva: non coelum, sed animum mutat; basta una cartolina dalla Cina o una foto dimenticata in un libro di Perec, basta una passeggiata in centro accanto agli uffici di una banca: non bisogna andar lontano.
Ma i suoi racconti, lui morto, ci andranno, i posteri se li ritroveranno sempre fra i piedi: parlano per loro.
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