La danza moderna, storicamente, ha conosciuto autori di creazioni impegnate, politiche, battagliere, agit prop. E oggi non è raro vedere in scena azioni-proclama e leggere nei programmi di sala propositi anti-sessisti, anti-razzisti, anti-sistemici di coreografi “contro”.
Chi davvero fa l’andatura su questi fronti adesso però è senz’altro Il collettivo multiartistico nato nel 2011 per mano di Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel che, insieme, dal 2019 dirigono il Centre chorégraphique national marsigliese, con l’annessa compagnia di balletto creata da Roland Petit nel 1972 e poi affidata a coreografi come Frederic Flamand ed Emio Greco, presentandosi ora sotto il nome programmatico di (La)Horde.
Il Ballet de Marseille
I programmi misti del Ballet de Marseille, concepiti come esposizione live di scelte curatoriali, mostrano un profilo potente, un nuovo respiro, spaziando tra la “storica” Lucinda Childs e i guastatori Cecilia Bengolea & François Chaignaud (Grime Ballet) o il producer Rone (Room with a View), e usando tutto: punte, hiplet, twerk, rave, classico, moderno e pop, e superando d’un balzo ogni questione di razza, gender, estetica. Lo stile di lavoro dei marsigliesi è già al di là di tutto questo, al di là della rivendicazione, è un fatto nella vita e in scena.
La generazione Z dei centennials, pragmatici e fluidi, corrisponde all’identità del Ballet de Marseille-orda di ultima maniera, in teatro e in video.
Compagnia-galleria
Il proposito dichiarato di mettere in campo una inedita compagnia-galleria d’arte coreografica corrisponde pienamente a ciò che si vede. Cosa rara.
Il gruppo che si spende senza risparmio magnificamente, è più che duttile, è autentico, nell’approccio a ogni diversa proposta coreografica; la poetica del team non è dimostrativa, non ha bisogno di lanciare in modo esplicito parole d’ordine di lotta, semplicemente respira la contemporaneità della gioventù attuale, che ha digerito le differenze di ogni tipo, le ha accolte, le ha fatte sue, misurandosi con la società postindustriale e postcoloniale, il contesto multietnico, il maschile e il femminile e il neutro, le tecnologie e i rave, la musica techno e il rap, l’underground, il clubbing, gli spunti house e dancehall, sparigliando le mode e modi, l’accademico e l’urbano.
I “non costumi” o i “contro-costumi” nei lavori firmati (La)Horde sono immediatamente riconoscibili nella creatività sottosopra dei vari pezzi indossati a modo proprio. Inconfondibili nel look, a prima vista, lo sono stati in pochi nel mondo ballettistico, come Balanchine, Béjart, Bausch e Forsythe. Altra rarità.
Il Ballet national de Marseille è certamente la compagnia più avanzata, di virtuosi spinti, che oggi vivifica le scene internazionali.
Un portfolio di pezzi travolgenti
L’opening glamour dei Roommates-compagni/e di stanza che denominano la serata mista dei marsigliesi in tour- è Grime Ballet (balletto sporco e anche un genere di rap) che incorpora al meglio il twerk e l’hiplet di Chicago (hip hop + ballet) per uomini e donne in punta e in costumi grafici b/n e a forti colori su Brick in yo Face, un testo-canzone duro, da malavita, un must di ascolti e click.
Wheater is Sweet è come una febbre erotica incontenibile, da notte brava tra amici, con movimenti del bacino elastici su e giù, in piedi e a terra, tipo flessioni militari, ai fini però di una ruvida e ludica performance sexy, mentre il pubblico è ironicamente trasformato in voyeur. Qui le voglie non si nascondono. Ci si gioca.
Oiwa, duo danzato tra fumi fantasmatici, ispirato a una storia di tradimento e morte di origine giapponese, (ricorda la coppia di Eden di Maguy Marin), lascia filtrare nel sonoro La Sonnambula di Bellini- nessuna paura né soggezione del passato- mentre il Concerto, in nero freddo e lustro, di Lucinda Childs su Goreki è un capolavoro di matematica in crescendo precisissimo fino alla frenesia più abilmente controllata. Qui sono resistenza e bravura a imporsi.
Le sensuali coreografie del Ballet de Marseille
Les indomptés, creato nel 1992 da Claude Brumachon e Benjamin Lamarche, è un magnifico duo maschile omo-plastico, che muta di accenti a seconda degli interpreti (tra gli altri, anche i gemelli Bubenicek lo hanno danzato) e qui, con due ragazzi dalla corporeità differente, il dialogo amoroso prende una forma inattesa, “spaiata”, restando sempre seduttivo e intenso.
Alla fine, Room with a View è trionfale, con adrenaline ritmiche battenti per atletismi alle stelle, spericolati, sensuali, di un nuovo realismo, post-internet.
I titoli scelti regalano il ritratto di una estetica peculiare, ad ampio spettro, coerente e coinvolgente. Una scossa che ci voleva nel pelago di tanta danza concettuale o autoreferenziale, fuori dal mondo, che qui invece ferve di furia, contraddizioni e vitalità.