Senza dichiarazioni ufficiali. Milano è diventata la prima città multipolare italiana. Non che prima non ci fossero stati tentativi di rompere il monocentrismo della città tradizionale italiana. Solo che erano falliti, a partire da quello di Roma con l’EUR. La capitale, pur essendo sede dello Stato Italiano e dello Stato del Vaticano,ha mantenuto la sua struttura monocentrica.
Milano, a partire dagli anni Ottanta, ha riutilizzato le aree abbandonate dalle industrie che sembravano una passività incolmabile. A questa maniera ha costruito una città multipolare. Le tappe sono state la Pirelli Bicocca, la Fiera, Rogoredo Montecity,l ’ Expo e molte altre ancora. La causa di questa rivoluzione è stata la fine dell’economia del manifatturiero. Nel volgere di pochi anni sono arrivate sul mercato tante aree a costi irrisori. Alcuni tentativi hanno avuto poco successo, altri si sono arrestati sul nascere per l’estrema complessità della situazione e l’assenza di economicità della soluzione proposta.
Altri ancora oggi sembrano appartenere al regno della fantasia più che della realtà. Basta considerare il dibattito sull’idea di spostare in area periferica la cittadella della giustizia, con relativo cambio di destinazione o depotenziamento dell’attuale Palazzo di Giustizia progettato da Piacentini in stile neorazionalista negli anni antecedenti la Seconda Guerra Mondiale. Tentativo stoppato dal sovrintendente Gino Famiglietti. Questi risulterà vincitore nella diatriba, ma sarà mandato in esilio con controversa promozione in Abruzzo. L’altro ingrediente di questo processo verso la multipolarità è stato un imponente investimento nelle infrastrutture. Esso lascia un segno colossale nella voce delle spese correnti del bilancio comunale dove ben il 30% sono destinate ai trasporti. Voce destinata ad aumentare con l’entrata in funzione della linea 4 della metropolitana. Appena un bambino su quattro ha a disposizione un posto in asilo nido.
Le famiglie ricorrono quindi a asili e nidi privati che mediamente costano tra il doppio e il triplo di quelli pubblici. Questo fa capire l’entità di uno dei tanti sacrifici necessari per l’investimento in una costosissima rete infrastrutturale. È stata la vacca sacra dei sindaci di qualsiasi colore politico sia durante la Prima che la Seconda Repubblica. Il controverso economista dei trasporti Marco Ponti sostiene, con poche smentite, che nessun sindaco milanese ha mai seriamente voluto una “ spending review” sulle aziende dei trasporti pubblici lombardi e sulle aziende di pubblica utilità possedute. Milano ha assunto la struttura e le sembianze di una grande area metropolitana su modello anglosassone. Lo stato italiano da una parte ha centellinato i finanziamenti e dall’altra ha continuato a pretendere un cospicuo flusso di risorse verso le proprie casse, in una dimensione che uno stato federale avrebbe classificato come eccessiva. A quel punto sono entrati in campo come azionisti di rifermento nella formazione della Milano multipolare gli investitori esteri. Essi ci hanno messo la totalità o quasi del capitale. Questo è quello che è successo dopo la crisi del 2008.
Il risultato è stata una chiara divisione dei compiti con gli investitori esteri e italiani tutti di taglia cospicua che si dedicano a imponenti “ rigenerazioni urbane”, mentre il settore pubblico si focalizza nella costruzione e gestione di infrastrutture e servizi. In questi anni Venti del nuovo secolo Milano è un’entità ormai assai diversa da tutte altre città italiane che sono rimaste sostanzialmente tradizionali. Milano è un concentrato di novità come di distribuzione dei redditi, classi sociali, attitudini politiche e di vita tutti incentrati su specifici ecosistemi. É una città policentrica e estesa.
Nessuno dei politici e dei sindaci e nemmeno le élites pensavano di spingersi su un terreno così sconosciuto dagli esiti inaspettati. Latore ultimo di riflessioni caute sugli esiti dell’esperimento è l’Arcivescovo Monsignor Delpini: ”Forse una certa enfasi sulla città, un certo eccessivo convergere di risorse. di attenzioni mediatiche, di rivendicazioni e di eccellenze finiscono per essere un danno per la stessa città di Milano e per il territorio regionale più che un prestigio promettente”.