Chi abbia letto i miei scritti, che parlano di anima, di idealità, di arte, si chiederà in che mondo vivo, certamente molto lontano dal mondo reale in cui imperversa il coronavirus, con tutti i terribili problemi che esso porta con sé. Si stupirà ancor di più se gli dico che io considero reale, anzi il solo reale, proprio il mondo delle idee e dei valori a cui mi ispiro, mentre mi sembra del tutto irreale proprio quello in cui viviamo.
E’ il mondo del presente, dell’esistere, a fronte di quello dell’essere, un’antitesi su cui non mi dilungo, pensando che essa sia una naturale, quasi ovvia complementarità. Mi stupisce a mio turno ancor di più e soprattutto mi addolora che la percezione di tale complementarità sia oggi perduta poiché l’esistere, nonostante che esso comporti una certa ampiezza, almeno temporale, sembra ridursi al presente.
La nostra è la civiltà del presente, non di un futuro a cui pensare, con una giusta prospettiva per il nostro lavoro e soprattutto con la consapevolezza della catastrofe a cui, se non si risveglia, si avvia l’umanità; tanto meno di un perenne in cui avere fede, come in una sicura via di perfezionamento.
L’ossessione del presente induce anche quella del contemporaneo, che affligge oggi il campo dell’arte, non più rivolta ai più alti valori che la fede nel perenne rendeva parte integrante della vita, ma limitata invece oggi all’immediato.
In questo irrompe la paura della morte, non quella che potrà magari accaderci domani, in un futuro indeterminato a cui non pensare, ma la morte subito, adesso, portata magari da un contagio casuale.
Una paura antica e universale che i media risvegliano e diffondono, portando nelle nostre case, qui ed ora, tutto quanto accade nel mondo o anche potrebbe minacciare di accadere. Una paura ingigantita, che diventa l’ossessione di tutti, ma è veramente il piccolo coronavirus che ci spaventa tanto, per quanto le sue vittime siano enormemente meno numerose di quelle che, da sempre, muoiono tutti i giorni?
No, è l’evidenza, tanto conosciuta da essere ovvia, che dobbiamo morire. Un’evidenza che ci cade addosso, mostrandoci i limiti dell’euforia del presente, del contemporaneo, e dell’insensato e globale materialismo del mondo di oggi. Un mondo che, nella migliore delle ipotesi, è un vero labirinto, come si vede nel quadro, da cui è difficile uscire, ma che può anche rivelarsi un precipizio! È questa la morte annunciata, di cui quella portata dal coronavirus è solo una piccola simulazione?
Mi viene in mente un altro mio quadro di vent’anni dopo, “L’aurora”, pubblicato in queste stesse pagine con l’articolo “Oltre la realtà”, che ci fa invece il dono di una profezia opposta: quella di una luminosa rinascita, ma essa è appunto oltre la realtà, oltre il presente, oltre il contemporaneo, oltre i dolori di oggi, per spronarci a cercare invece il perenne, che è la vera realtà.