Le ansie del collezionismo post-moderno e de-deterrorializzato
Fomo e Fobo: acronimi per due varianti del disagio contemporaneo. Da una parte la paura di perdere qualche occasione: Fear of missing out. Dall’altra il timore di perdere opzioni migliori: Fear of better options. I collezionisti d’Arte Contemporanea travolti dall’uragano della cultura Woke e Wokeism scelgono di sospendere ogni scelta. Forse la più titolata tra le” magnificent seven blue chips gallery”, Hauser&Wirth apre fuori da ogni percorso un’oasi dell’Arte Contemporanea a Minorca, una sede in un’ala dell’antico ospedale abbandonata a Illa del Rey, Hospital Island un isolotto nel canale navigabile del porto di Mahon. Minorca è la più aristocratica delle isole Baleari, ultima in classifica per locali notturni, copie perfette di birrerie bavaresi, fast food, flussi turistici, atterraggi e partenza di linee aeree low cost come Easy Jet, Wizz, Ryanair.
Le motivazioni dei nuovi collezionismi, tra indecisione e decision making
L’ambiente rilassato e con inclinazioni monastiche sembra sia stato scelto per controllare e sedare gli impulsi instabili dei collezionisti. L’incarico all’architetto includeva un riferimento specifico “alla cultura del rallentamento”. Sempre più collezionisti d’Arte Contemporanea, secondo rumors di difficile smentita circolanti tra gallerie Bue Chip e case d’asta, si comporta con la stessa indecisione ed imprevedibilità che ha fatto collassare le quotazioni di società di Dating on line: altissima percentuale di incontri digitali, molto scrolling ma sospensione della scelta che porti ad un vero incontro in un luogo reale e non virtuale.
Da qui strategia di sostegno e autoanalisi con la messa a disposizione di questionari e elenchi di opzioni per spingere il fruitore a una decisione qualsiasi. Lo stesso in modo sotterraneo viene tentato alla Isla del Rey. Anche nell’Arte Contemporanea accade come nel dating dove l’ossessione a controllare le ragioni delle proprie scelte, induce a procrastinare all’infinito ogni conclusione concreta capace di materializzarsi in un acquisto di Arte Contemporanea. Purtroppo la sospensione dell’acquisto avviene sempre più spesso. Cosa può fare una blue chip gallery? Innanzitutto tenere presente la dilagante concorrenza fiscale tra paesi determinati a offrire agevolazioni di ogni tipo. La strategia delle grandi gallerie è aprire sedi dove ricchi collezionisti vanno in vacanza e magari risiedono per tutto l’anno grazie a regimi fiscali favorevoli.
Nuove geografie del collezionismo ai tempi dell’arte post-coloniale
Migliaia di miliardari stanno abbandonando Londra. Londra non è più appetibile. Gallerie d’arte contemporanea e Case d’aste aprono nuovi sedi anche in luoghi inaspettati per inseguire i propri collezionisti. Questo pubblico trova molto desiderabile essere invitato in una galleria di Minorca con tutti i servizi tipici di Londra. La residenza in questi paesi dotati di un sistema dei trasporti aerei super efficiente permette di abbassare il carico fiscale e aumentare il proprio potenziale collezionistico che però per altre ragioni come quelle sopraddette non si esprime.
Un altro esperimento che viene molto frequentato è l’uso di contesti di avvicinamento, introduzione e assimilazione a opere post-coloniali dentro il tessuto del collezionismo storico che non è immediatamente ben disposto verso gli artisti protagonisti per esempio dell’ultima Biennale o di Documenta 15.
L’insuccesso del metodo di avvicinamento
Il concetto di Lumbung propagandata dal Ruangagroup nell’ultima Documenta non ha goduto di nessun successo. Molti galleristi seguendo questo percorso hanno riorganizzato le gallerie in pseudo abitazioni per aumentare intimità e vicinanza con il collezionista che viene invitato a partecipare ai riti della domesticità. Le Blue Chip Gallerie cercano di mantenere uno spazio intergenerazionale nella propensione collezionistica. Nella realtà è successo che l’impeto delle idee derivate dalla cultura woke sta distruggendo i legami tra generazioni di collezionisti e sempre di più gli eredi liquidano con impazienti vendite i legati collezionistici che ricevono.
Impermanenza, parola chiave
Nomadico e impermanenza sono diventati due concetti chiave che dal dopo Covid influenzano gli stati psicologici e antropologici dei collezionisti. L’apertura di una sede a Minorca, a Isla del Rey, accoglie ogni modulazione del sentire politico dei collezionisti. Questi vengono accolti da una lancia che li porta al di là di uno stretto braccio di mare. L’isola è stata oggetto di un attento landscaping dell’olandese Piet Oudolf mentre l’edificio storico che ospita le mostre è frutto di un intervento di Luis Laplace.
Come dal suo osservatorio di San Paulo sottolinea Igi Lola Ayedun, amica del direttore della Biennale Adriano Pedrosa, ormai il format dell’inaugurazione di una mostra in Europa è completamente superato: chic, silenzioso, elegante e puntuale. La gallerista brasiliana è contro la normatività e per un’arte decolonizzata perfettamente operativa. Basta con la geopolitica occidentale basata su classe, genere, razza.
Il rifiuto dell’egemonia cognitiva e dei tempi lunghi del decolonialismo è totale. Sul piano del Format, inaugurazione, apertura, gestione collezionisti, retribuzione artisti il sistema delle gallerie nordatlantiche ed europee è messo sotto accusa anche se sta cambiando pelle. Art Basel Parigi farà l’inaugurazione della prossima edizione in modo completamente diverso. Si dice che Igi Lola Ayedun sarà consulente.