Con la parola descriviamo, raccontiamo, spieghiamo… Con la parola, le parole, “rappresentiamo” il mondo fuori di noi ed anche quello che è in noi.
La parola e la rappresentazione della realtà
Con le parole “rappresentiamo”, insomma, la realtà. E “realtà” è anch’essa solo una parola che rinvia a qualcos’altro, che noi evochiamo e che prende forma attraverso quegli insiemi di parole, che si chiamano “proposizioni”, destinati ad allestire le “teorie”.
“Realtà” è dunque, solo, una rappresentazione semantica: la “sostanza” resta altrove, presupposto necessario, ma ignoto.
L’in sé del Mondo proviene a noi attraverso il per sé delle nostre parole. D’altra parte, sappiamo bene che le immagini che noi vediamo, i suoni che ascoltiamo, sono tali in quanto “rappresentazioni” neuronali. All’origine vi sono solo impulsi, sequenze di punti, onde. Quella che è per noi la poesia di un’immagine o di un suono, alla sua origine è rappresentata ancora da un linguaggio segnico e simbolico: quello universale della matematica. E cosa vi è di più immateriale di una formula matematica?
Ciò che “è davvero” si dà a noi solo attraverso le parole che vi alludono, non senza patire lo scarto con quel “davvero” che, nella traduzione italiana dei Ching, dice ciò che in verità è, secondo il modo solo formale e inestricabile della tautologia.
La Parola come rappresentazione della vita
Accade così che nell’esperienza umana le parole siano la rappresentazione dell’esistenza, che si scioglie nel racconto di ciò che chiamiamo “vita”. La vita, attraverso le parole, diventa esistenza e memoria e si fa storia. Non sempre.
La storia è una raffigurazione narrativa dell’esistenza, che si costruisce sulla premessa che i fatti accaduti nella vita di un uomo possano essere interpretati, poi, non come mere contingenze casuali, ma come tratti di un disegno, nel quale è possibile scorgere una direzione, un progetto. Per questo si può parlare di storia di una vita o, talvolta, al contrario, di una vita senza storia.
Su termini come “memoria” e “storia” bisogna allora andare più a fondo.
La Parola è connessa con il Tempo
Entrambi sono riflessi di una categoria che struttura l’esistere al mondo dell’uomo. Ancor prima: di una categoria che struttura la pensabilità stessa del “mondo”, che l’uomo non può articolare logicamente se non rinviando alla domanda circa l’Inizio. L’uomo non può ragionare del “mondo” senza pensare ad un “Inizio” (comunque, poi, maneggi la questione). Si tratta cioè di quella categoria della ragione umana senza la quale non è logicamente pensabile alcuna forma di esistenza; senza la quale l’uomo non può pensare se stesso come soggetto che conosce.
Questa categoria è il “tempo”: essa mette in forma l’esistere dell’uomo come ente finito. Il tempo di cui parlo, allora, non è solo quello, epidermicamente osservabile, della nascita e della morte; ma è quello che struttura la finitudine di ogni nostro gesto fisico e mentale in quanto sequenze ininterrotte di inizio, fine, ancora inizio, ancora fine..
Il fare è gesto dopo gesto e ogni gesto è movimento dopo movimento e ogni movimento è successione di piccolissimi spostamenti nello spazio; il camminare è andare con passo dopo passo e ogni passo è la copertura di frammenti successivi di spazio.
Analogamente, definiamo “ragionare” il succedersi di pensieri, ogni pensiero è un tacito succedersi di proposizioni, ogni proposizione è un succedersi di parole ed ogni parola è suono dopo suono e il suono è onda dopo onda: tutto un succedersi di particelle. In questo scorrere ininterrotto di prima e dopo appare un ordine pratico che la mente umana elabora secondo “nessi” teorici che si chiamano “logica”, con i quali noi operiamo, decidiamo, viviamo secondo un “senso”.
Il tempo mette in forma, dunque, la nostra esistenza.
La Memoria
La storia e la memoria sono allora rappresentazioni dotate di senso che trasformano in una linea continua la puntualità contingente dei momenti del nostro esistere. La memoria rende attuale nell’oggi e proietta nel domani il percorso di una vita, disegnandone la “storia”; quando quella vita ha una sua storia.
Finora ho parlato di storia e memoria, ovvero di rappresentazioni linguistiche e tempo: il mio argomento, cioè, sono state “le” parole.
L’uso del singolare (“la” parola) ci proietta in un contesto del tutto diverso. É la possibilità consentita alla finitudine umana per uscire dalla temporalità dell’esistenza e sporgersi (solo sporgersi) verso l’alterità dell’Essere.
L’Essere, in quanto pensabile come il “totalmente altro” dall’esistere, è logicamente fuori del tempo: è “attimo”, meraviglia, mistero, trascendenza. Ho usato quattro espressioni che non descrivono né rappresentano l’Essere, ma evocano lo straniamento del finito di fronte all’altro da sé, così altro da sé da non essere riconducibile entro i confini di una qualunque alterità in qualche misura o maniera determinabile: l’Essere è il totalmente differente.
La cultura antica, assai più consapevole del limite epistemico della ragione umana, aveva posto a fondamento del proprio interrogarsi sul senso dell’esistere proprio la questione dell’inizio, come la domanda che la stessa ragione “finita”, in quanto strutturata nel tempo, gli poneva come radicale: se noi siamo, cosa è ciò da cui tutto comincia? Se l’esistenza è particolarità e molteplicità, aspetti del “finito”, cosa è il Tutto, nel quale l’assenza di spazio è, fondamentalmente, assenza di tempo? La risposta si fermava, improvvisamente, all’apparizione fulminea dell’Inizio, al bagliore che investe la mente per un “attimo”. L’ “attimo”, nel quale si sprigiona il Tutto: Nous, Logos, Verbum, l’Essere, Dio… .
La risposta si arrestava all’ascolto di quel fugace respiro iniziale del bimbo, con il quale entra nella vita staccandosi dal ventre materno, che la cultura ebraica rappresenta con un il segno, dal suono aspro e trattenuto, di un semplice “spiritello”, che è il primo di quella sequenza segnica (il tetragramma) che erroneamente viene raccolta in un nome: Yahweh.
L’Essere dunque è l’attimo della Parola; l’ “esistenza” è lo scorrere nel tempo: è storia, racconto, memoria. La vita che viviamo è tessuto di parole e di immagini, del quale il tempo, scandito dalle voci del passato, dalle emozioni del presente, dalla immaginazione del futuro, disegna la trama, avvolgendoci in ogni momento, dirigendo i nostri pensieri e orientando i nostri gesti.
Senza storia non si dà l’esistenza degli uomini e senza memoria non c’è la nostra vita, quella di ciascuno di noi: il suo “senso” è racchiuso in un “diario”.