La fine del Nazismo
La cosa che più mi ha impressionato di quest’ultimo 8 o 9 maggio, data di ricorrenza della fine del secondo conflitto mondiale in Europa, non è stato lo sfasamento che, a causa del fuso orario, distingue il giorno della memoria dei russi (ex sovietici) da quello degli altri europei, ma il fatto che come sempre i russi (ex sovietici) dedicano all’evento ogni anno una cerimonia solenne, carica di dolore per i trenta milioni di morti subiti, ma anche di grande e giustificata soddisfazione per aver liberato se stessi e il mondo intero dal male assoluto del ventesimo secolo: il nazismo.
L’anniversario della CECA
Mentre gli altri europei erano totalmente distratti e impegnati al Parlamento di Strasburgo, a festeggiare l’anniversario della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). Primo importante seme che portò alla costituzione dell’unità europea. Evento importantissimo ma che non può e non dovrebbe escludere o cancellare la memoria del secondo conflitto mondiale.
Parlo dei polacchi, dei cechi, degli slovacchi, dei belgi, degli olandesi, dei danesi, degli ungheresi, dei bulgari che di quel conflitto furono prima di tutto vittime. E parlo dei francesi e dei britannici che furono al contempo vittime ma coprotagonisti con l’Unione Sovietica della vittoria sul nazismo. E parlo degli Stati Uniti, che non furono vittime, ma anch’essi coprotagonisti della vittoria sul nazismo.
In teoria non dovrei parlare della Germania e dell’Italia che quel conflitto lo avevano provocato, più la prima che la seconda, in verità. E della Spagna che allora franchista aveva scelto una “neutralità attiva” a favore di Germania e Italia. Ma essendo oggi questi tre grandi paesi liberi e democratici, grazie alla sconfitta del nazifascismo, essi per primi dovrebbero ricordare e manifestare la loro soddisfazione per essere stati salvati da quell’incubo. Invece niente di niente.
Mi sono chiesto: perché?
Si manifesta solo a Mosca, forse perché, innegabilmente loro sono stati i veri e grandi protagonisti della sconfitta del nazifascismo. Ma vivaddio, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia furono coprotagonisti di quella vittoria anche se con peso marcatamente diverso.
E dunque perché non lo fanno? Per lo meno in modo ufficiale. Perché il Presidente degli Stati Uniti, ogni anno, in quella data, non fa una semplice visita al cimitero militare di Arlington a rendere omaggio ai suoi caduti? O il Primo ministro inglese non getta dei fiori nella Manica in ricordo e omaggio dei valorosi aviatori inglesi che si sono sacrificati per il loro paese?
Forse c’è un’altra ragione di fondo che impedisce di celebrare l’avvenimento. Forse perchè quel conflitto non era prioritariamente la loro battaglia. Furono costretti a combatterla e molti di loro morirono, ma lo fecero con ritrosia, quasi obbligati dalle circostanze a cui il nazismo li costringeva.
Un’alleanza necessaria ma sofferta
Per loro il vero nemico ideologico era e restava l’Unione Sovietica e invece fu con essa che furono costretti ad allearsi. Un’alleanza rifiutata ripetutamente per buona parte degli anni Trenta. Un’unione ideologicamente anomala, molto anomala, vissuta come un gran mal di pancia. Un’alleanza in qualche modo finta, salvata ma solo parzialmente, dall’onestà personale del Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt che garantì forniture militari all’Unione Sovietica nel primo anno e mezzo di conflitto.
Poi l’Unione Sovietica fin dal 1943 era riuscita a produrre più armamenti della stessa Germania nazista. Grazie, senza forse, a quel famigerato e tanto vituperato patto Molotov-Ribbentrop che fece guadagnare circa due anni di tempo all’Unione Sovietica prima di essere attaccata. Questi due anni di tempo si rivelarono indispensabili per riorganizzare l’industria bellica negli Urali, lontano dalle aree che l’orda nazista riuscì a occupare nell’Unione Sovietica, prima di essere definitivamente bloccata nell’area di Mosca e sconfitta irreversibilmente a Stalingrado alla fine del 1942, solo dopo 18 mesi dall’attacco subito.
La “sindrome da razza ariana”
Forse noi in occidente non manifestiamo perché non siamo mai riusciti a liberarci di quello che vorrei chiamare “sindrome da razza ariana” che contraddistingue sempre e da sempre i nostri comportamenti.
Se muoiono migliaia di negri annegati nel Mediterraneo ogni anno, decine di migliaia di persone in un paese come lo Yemen che nella stragrande maggioranza non sappiamo nemmeno dove si trova o nelle altre decine di guerre, piccole e grandi che in questo momento sono in corso nel mondo, non ce ne frega meno di niente.
Mentre se succede in Ucraina dove sia le donne sia gli uomini hanno capelli biondi e gli occhi azzurri…apriti cielo!
Il battaglione Azov e il nazismo
Ma di questa guerra vorrei solo evidenziare che una delle cause che l’hanno provocata nella sua fase attuale, perché la guerra è in corso dal 2014, è la pressante richiesta russa di de-nazificare quel paese. Succede infatti che dal 2014 opera in Ucraina, erede di una componente certo minoritaria di questo popolo, il famigerato battaglione Azov. Presente per la verità già dopo il 1941 a fianco dei nazisti tedeschi durante la loro invasione dell’Unione sovietica e quindi anche del territorio ucraino. Un battaglione inizialmente di circa tremila componenti con i vessilli nazisti, regolarmente inquadrato, non tollerato ma esaltato, nei ranghi dell’esercito ucraino.
Il Donbass
Questo battaglione negli ultimi 8 anni di guerra si è reso responsabile delle peggiori azioni nell’area dell’Ucraina chiamata Donbass. Ebbene, questo battaglione nel corso dello sviluppo della guerra, iniziato ottanta giorni fa, è stato isolato nell’area di una grande acciaieria di Mariupol.
Da giorni i russi invitano i civili ad uscire, e questi ultimi in gran parte lo hanno fatto. Attraverso i corridoi umanitari hanno potuto raggiungere il territorio controllato dagli ucraini. Ma il problema, meglio il paradosso, è che questo scampolo del nazismo è schierato con quel mondo occidentale che da sempre odia il nazismo. E ora, altro paradosso, questi militari molto probabilmente saranno oggetto di scambio con i prigionieri russi, avendo ricevuto l’ordine da Kiev di evacuare l’acciaieria.
Tante stranezze, in questa guerra in Ucraina. Fanno venire in mente altre passate stranezze.
I papi e la guerra
Tacendo sui secoli passati, i papi dovrebbero tendere sempre alla pace e al perdono. Ma, a proposito di nazismo, è ben noto Papa Pio XII rimase sostanzialmente silenzioso di fronte ai crimini di Hitler. Due anni fa Papa Francesco (che peraltro ‘francescanamente’ ha ricevuto alcune mogli di militari d’Azov che erano in cerca di aiuto umano per i propri mariti) ha messo a disposizione gli Archivi Vaticani perché si potesse far luce sul suo predecessore accusato dagli ebrei di non avere mai espresso alcuna denuncia degli orrori nazisti.
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