Julius Evola e Maria de Naglowska
1.
Julius Evola, dopo aver scritto il libro Metafisica del sesso nel 1958, ripensa, talvolta, alla sua esistenza passata, soprattutto a quella che si rapportava alle pratiche magiche della sessualità. Queste vivono ora nelle figure simboliche del suo stesso pensiero. Le immagini che emergono, in quel momento dell’esistenza, sono quelle che avevano ispirato il suo testo. Sono incarnate da donne incontrate, ma anche sconosciute, talvolta trasfigurate nel corpo dei suoi simboli alchemici. I loro occhi continuano a vibrare per incontrare il suo sguardo riflessivo.
2.
(…) In una notte d’estate, dalla finestra aperta della sua camera, sente in lontananza voci di alcuni uomini che dialogano con una donna. A un certo punto le voci si trasmutano come nelle sonorità di una ballata. Julius intuisce che quella donna è diventata la protagonista unica di quel collettivo desiderio maschile. Avverte che una carica selvaggia accende quell’attrazione, come accade nella sua Ballata in rosso, scritta quarant’anni prima, di cui ripete, con voce sommessa, alcuni versi: lame della crudeltà e di voluttà estreme nella mia ballata in rosso per voi / stasera.
(…) Julius Evola, ascoltando quella notte il colloquio degli uomini con la donna, oggetto della loro attrazione, immagina un cerimoniale erotico, svoltosi in un’ambientazione sadomaso, che si trasmuta in rituale di conoscenza. Questo può essere espresso ancora attraverso le parole della sua Ballata in rosso: Perché ora siete in mio potere… / Vi hanno portata nella piccola sala chiusa dinanzi alla mia indifferenza seduta…. / strappare giù fino al suggello al segreto del vostro essere oscurità chiusa fra le vostre cosce.
3.
“Julius, Julius, guardami…” riecheggia una voce femminile, in una notte d’inverno, durante un altro suo viaggio di visioni, mentre osserva le donne che avevano incarnato il suo percorso di eros alchemico.
Quella voce femminile, pregna di presenza magica, vuole entrare nel suo colloquio di immagini. Appartiene alla russa Maria de Naglowska che conobbe a Roma agli inizi degli anni Venti. Questo rapporto di arte e pensiero lo riporta all’origine del suo percorso espressivo, quando conobbe poco più che ventenne Maria, più grande di lui di età. Con lei tradusse dall’italiano in francese il poemetto La parola oscura del paesaggio interiore, che interpretò alle Grotte dell’Augusteo di Roma, nell’autunno del 1921, in una manifestazione Dada. Il manoscritto originario in italiano del poemetto, per loro volontà, doveva essere nascosto presso un cenacolo di cultori dell’esoterismo.
Maria de Naglowska era interessata alle potenzialità femminili della magia sexualis. Come poetessa e persona coinvolta nelle pratiche occultistico-esoteriche, aveva la sensibilità idonea per entrare in quella ricerca poetica di assonanze e richiami sensoriali. Lei partecipava nel creare con lui quel linguaggio in cui l’orgasmo interiore esprimeva le sonorità vibrazionali della poesia. Maria si identificava con M.lle Lilan, una delle quattro voci dialoganti nel poemetto, che era una voce femminile.
Julius Evola si rivede, in una successiva serie di immagini, in una stanza bianca con un letto bianco, dove emerge il rosso dei cuscini e della coperta che crea una alchemica accensione visiva. Qui è abbracciato con Maria, dopo essersi guardati a vicenda, per diverso tempo, senza alcun contatto fisico. Lei è nuda. Lo sguardo e la nudità, in quel loro rapporto, diventano un modo per amplificare e far trascendere il loro stesso desiderio verso un eros magico. Il loro colloquio è espresso attraverso il suono della parola. Questo incarna l’orgasmo interiore della parola oscura che entrambi avevano ricercato nella traduzione del poemetto.
NOTA. Mi sono ispirato al testo inedito di Evola “Il quadro segreto” (1970) che uscirà in un’antologia sulla vita romanzata di Julius Evola di prossima pubblicazione, a cura di Gianfranco de Turris.