Era appropriato dire che l’emergenza in cui siamo ancora immersi era da considerare una condizione da dopoguerra.
Non è tempo di litigi interni o comareschi. Dialogo, dialogo, dialogo.
Un dialogo nel rispetto delle proprie idee o punti di vista, ma anche della gente e della situazione eccezionale che attraversiamo. Come si fa ad operare nel migliore dei modi? Confrontandosi, pronti a cedere quando l’autenticità del proprio sentire lo consente, anche se fosse in contrasto con le posizioni ufficialmente assunte. Risolvere spesso implica qualche cedimento.
É tutto? No. Non bastano i politici, non bastano gli specialisti nell’ombra. Indispensabile un Comitato formato da specialisti (di vari settori, formazione e bellezza non ultima cosa), amministratori, figure istituzionali.
Una piccola commissione in rappresentanza dell’intero Comitato potrebbe “arare il campo”, tracciare una bozza delle problematiche, avviare un’analisi di esse e forse suggerisce qualche indicazione per possibili soluzioni.
Ovviamente riunioni a non finire e urgenti, anche con tavoli tematici, fino a che non si arriverà a un progetto condiviso. I reggitori attuali della cosa pubblica si aprano con sincerità; gli oppositori non si chiudano nel proprio recinto; gli specialisti siano leali nella loro scientificità, senza vassallaggi se non verso la gente per la quale stanno lavorando.
Nel nostro tempo si deve giocare non di fioretto ma di parola onesta e sincera. Il potere per il potere è fuori posto e pericoloso specie se costituisce un obiettivo al di sopra di ogni altra cosa.
Ogni risposta terrà conto di questo emblema: cosa è meglio fare per l’Italia e per gli italiani al posto di cosa è meglio fare per la mia posizione politica.
E se questa è fondata (qualche volta accade) su idee caratterizzanti e non su parole che possono andar bene a destra e a sinistra, in alto e in basso, la si faccia valere o le si abbassi il volume se, così facendo, si contribuisce al miglior risultato.
L’alternativa: baruffe. E infine: tutto fuffa.