Il successo e la celebrità del musicista crescevano di mese in mese ma ciò non sarebbe servito ad allontanare lo spettro di una grave malattia, la sordità, la cui presenza Beethoven aveva incominciato a sentire già da qualche tempo. Così egli diede la terribile notizia in una celebre lettera inviata il 29 giugno 1801 a Wegeler, a Bonn. «Vuoi avere qualche notizia delle mie condizioni: complessivamente non sono affatto cattive. Da un anno Lichnowsky che, anche se a te sembrerà incredibile, è stato e rimane il mio amico più caro (…) mi versa uno stipendio di seicento fiorini che posso ritirare fino a quando non trovo una sistemazione adatta a me. Le mie composizioni mi fruttano parecchio e posso dire che ho più commissioni di quante mi sia possibile portare a termine. Inoltre per ogni composizione posso contare su sei o sette editori, o anche di più se voglio, non mi è più necessario contrattare, io fisso il prezzo ed essi pagano. Comprendi quanto sia piacevole la situazione in cui mi trovo. Per esempio se vedo un amico in difficoltà e se le mie finanze non mi permettono di aiutarlo in quel momento, è sufficiente che mi metta a scrivere e in breve tempo sono in grado di aiutarlo. Inoltre sono anche più economo di prima. Se dovessi restare per sempre qui, riuscirei sicuramente ad ottenere un’accademia al giorno. Ne ho già date alcune. Ma quel demone invidioso che è la mia pessima salute mi ha messo il bastone fra le ruote: negli ultimi tre anni il mio udito è diventato sempre più debole. Sembra che ciò sia accaduto a causa del mio intestino il quale, come tu sai, era già in pessime condizioni ancora prima della mia partenza da Bonn, ma che qui è peggiorato di modo che ero continuamente afflitto da dissenteria e da una conseguente straordinaria debolezza. Il dottor Franck ha tentato di ridare tono al mio corpo con ricostituenti e al mio udito con olio di mandorle, ma niente! La sua cura non ha avuto risultati, la mia sordità è peggiorata e il mio intestino è rimasto nelle stesse condizioni. Questo è durato fino all’autunno dell’anno scorso e qualche volta mi sono lasciato sopraffare dalla disperazione (…). Quest’inverno sono stato molto male perché ho avuto delle coliche terribili (…). Sono rimasto in queste condizioni fino a quattro settimane fa, quando sono andato da Vering. Pensavo che il mio stato richiedesse l’esame di un chirurgo e, comunque, avevo fiducia in lui. Questi è riuscito a eliminare quasi completamente questa violenta dissenteria (…). Posso dire di sentirmi meglio e più forte, ma le mie orecchie continuano a ronzare e a fischiare notte e giorno. A te posso dirlo, sto trascinando una vita ben misera. Da quasi due anni evito di partecipare alla vita sociale, perché non mi è possibile dire alla gente che sono sordo. Se la mia professione fosse diversa, riuscirei a fronteggiare questa malattia, ma per me è uno spaventoso ostacolo. Che cosa direbbero, se venissero a saperlo, i miei nemici, che non sono pochi! Per darti un’idea da questa strana sordità, ti dico che a teatro devo mettermi molto vicino all’orchestra per capire gli attori. A una certa distanza non sono in grado di sentire i toni alti degli strumenti e delle voci. Riguardo alla conversazione è strano che nessuno si sia mai accorto di nulla, ma poiché in genere mi distraggo facilmente, si attribuisce a ciò il mio non sentire. A volte riesco appena a sentire chi parla a bassa voce: posso udire i suoni ma non capisco le parole. Se qualcuno grida ciò mi riesce insopportabile. Dio solo sa cosa succederà. Vering dice che migliorerò anche se la sordità non potrà mai guarire totalmente. A volte ho maledetto il Creatore e la mia esistenza. Plutarco mi ha insegnato la strada della rassegnazione. Tenterò di sfidare il mio destino, anche se finché vivo vi saranno momenti in cui sarò la più infelice creatura di Dio (…). Rassegnazione? Che misera risorsa, ma è tutto quanto mi è rimasto …».
Qualche giorno dopo così il musicista manifestava la sua tristezza in un’altra lettera all’amico Amenda. «Quante volte ho desiderato averti vicino! Il tuo Beethoven è tremendamente infelice ed è in collera con la Natura e il suo Creatore. Già più volte l’ho maledetto per aver esposto le sue creature a ogni rischio, così che il più bel fiore viene facilmente schiantato e distrutto. Sappi che la parte più importante di me, il mio udito, si è molto deteriorato. Quando eravamo insieme ne avvertivo già i primi sintomi ma non ne parlavo. Ora sono diventati molto più gravi. Per sapere se potrò guarire dovrò ancora aspettare. Dipenderà dalle condizioni del mio intestino: anche se da quest’altro male io ne sono quasi totalmente guarito. Se anche l’udito migliorerà, lo spero, ma è difficile: queste malattie sono le più incurabili. Per adesso devo vivere nell’infelicità ed evitare tutto ciò che mi è caro e gradito e tra uomini così miseri ed egoisti (…). Come sarei felice ora se avessi il mio udito intatto! Allora correrei da te, ma così sono costretto a restare lontano da tutti. I miei anni migliori trascorreranno senza che possa compiere tutto ciò che il mio talento e le mie energie mi avrebbero permesso. Triste rassegnazione in cui devo rifugiarmi! Certo mi sono ripromesso da pormi al di sopra di tutto, ma come sarà possibile? Sì, Amenda, se fra sei mesi non sarò guarito ti chiederò di lasciare tutto e venire da me. Allora io viaggerò (per suonare e comporre il mio male mi ostacola pochissimo ma moltissimo nei miei rapporti sociali) e tu mi accompagnerai. Sono convinto che la fortuna non mi mancherà».