Già pubblicato su FYINpaper il 13 giugno 2020
La ristampa dei tre piccoli saggi di Jean-Paul Sartre, Plaidoyer pour les intellectuels (libro uscito la prima volta nel 1975, oggi ripreso nella collana Folio da Gallimard con una bella prefazione di Gérard Noiriel) non è solo la possibilità di ricordarsi le idee politiche sviluppate dal grande filosofo francese, allora il più noto al mondo; ma è anche un modo di capire quello che è rimasto delle sue concezioni a quasi cinquant’anni di distanza.
In Italia, ci sono stati in questi ultimi tempi, diciamo del dopo guerra, grandi figure di intellettuali che hanno avuto molta influenza sui loro compatrioti, come Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Italo Calvino. Ma solo il primo ha un po’ tentato di introdursi nella sfera politica.
Dobbiamo risalire all’inizio del novecento per vedere questa élite pesare sul corso degli eventi. Due i nomi famosi: Gabriele d’Annunzio, che ha tentato l’impresa militare di Fiume nel 1919 e Filippo Tommaso Marinetti, inventore di un movimento artistico e letterario che ha avuto influenza ben al di là dell’Italia. Ha inoltre creato un partito politico, si è alleato con Mussolini per una campagna elettorale (disastrosa) e ha scritto vari libri su tematiche politiche, come Futurismo e Fascismo (1924). Altri personaggi di primo piano hanno avuto un ruolo significativo nel loro tempo, come Benedetto Croce. Ai nostri giorni è rimasto solo Claudio Magris, che è stato senatore due anni, ma ha scelto di combattere più su un piano etico.
In Francia, la situazione politica è stata ovviamente molto diversa. Il secolo dei Lumi, con Voltaire, Diderot, D’Alembert, Rousseau e altri, ha avuto un’influenza notevole nell’epoca dell’Ancien Régime. In uno dei suoi saggi Sartre nota che quel pensiero era in sintonia con la borghesia ostile alla monarchia assoluta. Nell’ottocento, la figura più imponente è quella di Victor Hugo. Accanto alla sua immensa opera letteraria, ha avuto una carriera politica nel campo monarchico (deputato del Parti de l’Ordre nel ‘48), ha creato un giornale, L’Evénement, che professava idee molto più democratiche, rifiutava l’offerta di Louis-Napoléon Bonaparte di diventare ambasciatore. Ha aderito poi – resosi conto che il nipote del grande imperatore preparava un colpo di stato anti-repubblicano – al partito de La Montagne, a sinistra. Poi parte per un lungo esilio (finge di essere stato forzato da Napoleone III) e diventa la voce dell’opposizione nell’isola di Guernesey. Quando ritorna in Francia, sostiene la Comune di Parigi e continua a pubblicare articoli contro la condizione carceraria e la pena di morte. Nel frattempo pubblica il suo romanzo più famoso, Les Misérables.
Un altro grande scrittore impegnato è stato Émile Zola, che si è interessato alla condizione tremenda degli operai (anche nel suo romanzo Germinal) e durante l’affare del capitano Dreyfus ha pubblicato il suo celebre articolo «J’accuse» nella prima pagina del quotidiano di Clémenceau, L’Aurore. Nel novecento tanti scrittori (ma anche scienziati, avvocati, giornalisti) hanno avuto un’attività politica più o meno importante, come i due amici Louis Aragon e Pierre Drieu de la Rochelle, il primo comunista e il secondo impegnato sul fronte fascista.
Sartre è l’erede di questo mondo sempre pronto a battaglie ideologiche. Nel primo dei saggi (che era, come gli altri, una conferenza pronunciata in Giappone nel 1966), non dà una definizione dell’intellettuale, ma sottolinea una delle critiche a lui mosse :«quello che si occupa di ciò che non lo riguarda». Al ritorno vede i filosofi di quel periodo come coloro che hanno offerto alla borghesia un modo di pensare opposto al feudalesimo. Poi si rende conto che è nata la categoria dei tecnici delle sovrastrutture in appoggio alla classe dominante. Lui vede nell’intellettuale colui che sa cogliere le contraddizioni tra la verità pratica e l’ideologia dominante, e ricerca il senso di questa rottura.
Nella seconda conferenza sviluppa l’analisi delle contraddizioni. L’intellettuale ha una funzione ? In verità, no. Ma è un individuo che studia in modo di raccordare se stesso al mondo e il mondo a lui stesso. Secondo lui, l’intellettuale deve scegliere un’universalità singolare e avere una visione dialettica. Insomma vuole che sia una reazione all’evento e non a delle considerazioni generali. L’universalità umana è da costruire. Esamina allora il rapporto dell’intellettuale (solo per definizione) con le masse.
Oggi, questo rapporto potrebbe far sorridere perché il mondo è molto cambiato, soprattutto in Europa. Il suo ruolo è complesso e contraddittorio. Ma fa parte di quanto egli deve superare per avere voce in capitolo. Dall’inizio, la posizione di Sartre è scomoda. Si può dire che cos’è l’intellettuale non impegnato, non si può dire facilmente cosa sia quello impegnato. Sono otto le possibilità. La prima è strana perché propone che sia la persona che mette da parte l’ideologia della classe popolare. Pensa soprattutto al culto della personalità o dell’eroe. Propone l’elevazione di tutto tramite il sapere, e afferma la libertà del pensiero. Insomma, si appoggia ancora sul marxismo, ma rivendica un approccio da franco tiratore. Ma si arroga la missione di dare la direzione della lotta. Si capisce dalla sua fede stalinista, ma ha un problema nel trovare il vero posto del combattente intellettuale!
Nell’ultima conferenza, si chiede se uno scrittore sia un intellettuale. Strana domanda, perché Sartre è, nello stesso tempo, scrittore e filosofo. La cosa più curiosa è che lo scrittore, secondo lui, si serve del linguaggio comune di cui sarebbe il guardiano. E quello che ha da dire non si può dire, non è concettuale, e non è significativo. Questa ipotesi nasconde una dimensione al di là della lingua. Può riavvicinarci alla realtà (come Zola, descrive in dettaglio il suo progetto letterario), oppure prendere le distanze da essa (cita Naked Lunch di W. S. Burroughs). Ma la descrizione dei fantasmi ha anche una parte di verità nei confronti del mondo (si riferisce all’ «insertion» di Merleau-Ponty). Oggi, l’opera dello scrittore deve andare ben avanti. Deve «essere-dentro-il mondo». E ancora un volta, vede in questo proposito una dualità complessa.
Insomma, Sartre ha capito che si tratta di un modo di pensare la letteratura superato, tuttavia riesce a circoscriverlo. Ma quello che dice in queste pagine sul «maître-à-penser» e sugli scrittori del nostro tempo, è stranamente attuale.
Dopo la sua morte, nasce in Francia il gruppo dei Nouveaux Philosophes, con Bernard-Henri Lévy come portavoce principale. Hanno ripreso la tematica dell’impegno dell’intellettuale propria di Sartre, ma hanno tolto il marxismo. La loro influenza è stata notevole all’inizio, poi è declinata. I suoi maggiori rappresentanti sono diventati personaggi mediatici votati a parlare di tutto. Alain Finkielkraut, lettore impressionante della Bibbia, fa la stessa fine e Michel Onfray, studioso del materialismo e creatore dei caffè di filosofia, che si prepara a fare uscire il suo giornale Front populaire, segue la stessa strada. Sono tutti cosiddetti filosofi e la figura dello scrittore è scomparsa da questo contesto.
Jean-Paul Sartre ha avuto questa notorietà incredibile perché giocava su due terreni: la teoria marxista e l’umanesimo tanto singolare nel suo pensiero, poi l’essere filosofo e l’essere scrittore. Rimarrà l’unico in Francia nella seconda parte del novecento. E per adesso non si vede nessuno capace di rubare la posterità. Ma chi lo sa?