Il grande cosmologo e matematico inglese John David Barrow ci ha lasciato il 27 settembre scorso. Di lui ricorderemo per sempre l’appassionata affermazione del “principio antropico”, forse la più compiuta idea laica del carattere elettivo della specie umana.
“Il principio antropico” scritto nel 1985 con Frank J. Tippler, pubblicato in Italia con Adelphi nel 2002 (pagg. 770), è un condensato di convinzioni scientifiche declinato in una prospettiva finalistica, perché l’autore crede nel carattere teleologico dell’universo, e dunque nell’esistenza di un progetto cosmico di generazione della vita.
Quello che colpisce nello scienziato è la ricerca di conferme della sua teoria che spazia dall’intero campo scientifico (matematica, astronomia, biologia, chimica) a quello filosofico e teologico. Infatti Barrow ricapitola la storia culturale e scientifica del principio antropico, partendo dalle prime concezioni filosofiche dell’antica Grecia, attraverso l’intero arco temporale della cultura umana (citando solo alcuni, da Anassagora, Aristotele, Parmenide, Empedocle, Lucrezio, attraverso Ibr al-Haytham’s, San Tommaso, Leibniz, Kant, Scelling, fino a Teilhard de Chardin), per approdare ad una definizione che ritiene “ultima”, da cui PAU (principio antropico ultimo): “Nell’universo deve necessariamente svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informazione, e una volta apparsa essa non si estinguerà mai”.
Insomma, secondo Barrow la combinazione causale che ha generato la vita nell’universo è solo apparentemente tale; invero è il frutto di un progetto coesistente allo stesso universo fin dalla sua nascita. La stessa lunga età dell’universo era necessaria per lo sviluppo della vita, poiché per la fusione dei nuclei di idrogeno ed elio, indispensabili per la vita, occorrevano le fornaci interne alle stelle: “Dunque, affinché sia trascorso abbastanza tempo per produrre i costituenti degli esseri viventi, l’universo deve avere almeno 10 miliardi di anni e, in conseguenza della sua espansione, estendersi per almeno 10 miliardi di anni luce”.
E le costanti dell’universo (gravitazione universale, costante di Planck) e i relativi rapporti tra massa del corpo umano e massa di un pianeta/massa atomica, massa di un pianeta e massa atomica/massa universale osservabile, ma anche la relazione unica ed equilibrata tra idrogeno, ossigeno e carbonio che ha permesso la vita, sono la prova che la vita nell’universo è stata possibile solo grazie a combinazioni eccezionali, straordinariamente complesse, rare e irreplicabili, che devono necessariamente ritenersi contenute in un progetto. Al punto che, secondo Barrow, non esistono altri organismi equiparabili alla specie umana nel cosmo, tipo i “marziani” che una parte di scienziati continua a cercare.
Barrow distingue tra argomenti teleologici e eutassiologici: i primi riscontrano un fine progettuale, i secondi una causa armonica e pianificata. Per lui, quest’ultimo approccio alla complessità della vita (che si ritrova anche in Newton e Darwin), è limitante, perché non va oltre la spiegazione del funzionamento meramente interno e meccanico di quanto si osserva.
In fondo Barrow ha dato solida forma scientifica ad una convinzione profondamente radicata in ogni essere umano, quando guarda attonito attorno a sé scoprendo, insieme alla bellezza e grandezza della natura, la precisione misteriosa dei meccanismi naturali, la convergenza tra la scienza e i fenomeni naturali, la meraviglia del funzionamento della tecnologia, la capacità sempre maggiore dell’uomo di impossessarsi dei segreti della natura, dunque la possibilità di governarla con l’appropriazione del proprio destino da parte dell’uomo: cioè, la convinzione di essere un prodotto speciale della natura, una specie elettiva, ovvero per i credenti, la creatura che Dio ha voluto formare “a propria immagine e somiglianza”.
Se vogliamo, quello di Barrow è un amore totale per l’umanità, con una visione così ottimistica per il futuro della specie umana che deve essere anche apparsa colma di slancio religioso, visto che Papa Francesco, nello scorso febbraio, lo aveva nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze.