Dirò di un luogo comune del quale voglio proprio disfarmi. D’altra parte non nego che è per questo che mi dedico a queste spigolature, oltre che per offrire delle provocazioni senza alcuna presunzione di verità. Una sorta di reset, insomma, o magari atto liberatorio. Per non dire che i luoghi comuni solo raramente possono aiutarci a capire qualcosa.
Ecco allora il luogo comune annunciato: il digitale si alimenta della e nella globalizzazione. Inoltre, la globalizzazione sarebbe una iattura perché renderebbe tutto uguale, equivalente, standard uccidendo le differenze e quindi le identità.
Certo sembra una argomentazione legittima. Ma ci sono osservazioni da fare al riguardo. Internet è indubbiamente uno dei fattori dominanti del digitale (sommamente efficace) ed è un fattore potentissimo di globalizzazione. Tuttavia, le informazioni che veicola (messaggi, comunicazioni, argomentazioni, immagini, disegni, video, suoni, musiche, algoritmi, ecc.) sono caratterizzate proprio dalla differenza, da infinite differenze piccole e grandi, significanti e insignificanti, comunque differenze. Internet, come la globalizzazione, è un mondo di mondi.
Ma non era forse il modo di produzione industriale che aveva fortemente bisogno di elaborare le informazioni? E poteva arrivarci magari con una propria motivazione. Basterà ricordare il motto di Henry Ford “Any customer can have a car painted any color that he wants, so long as it is black.” (Ogni cliente può ottenere una macchina di qualunque colore voglia, purché nera). Si sa che la Ford T (a cui si fa riferimento) era opportuno fosse nera, in quanto quel colore di vernice a quel tempo si asciugava più velocemente degli altri.
Altro esempio. Non è il modo di produzione industriale che ha diffuso in ogni dove la Coca Cola che tutti bevono ed è uguale ovunque?
Il digitale, invece, non impone alcuno standard anche se può produrlo. Ciò che può fare – anche se non è l’unica cosa – liberarsi del macchinismo.
Sappiamo, certo, che in fondo il nostro computer è una macchina un po’ evoluta e che il modo di produzione digitale non sia altro che una fase successiva del modo di produzione industriale e della sua natura rivoluzionaria.
Tuttavia, sforziamoci di pensare che ciò che avviene nel computer è più vicino a ciò che accade nel nostro cervello quando prendiamo una decisione che non a ciò che accade nella nostra automobile quando una pistone fa muovere le ruote della nostra automobile. Certo, c’è pur sempre qualcosa di analogo tra i due procedimenti, ma il digitale ha semplicemente dato più potere al primo piuttosto che al secondo. Ovviamente lo straordinario regalo che possiamo farci è interrogare non le macchine ma la vita. Un regalo pericoloso, ma è in questa direzione che ci stiamo giocando non ciò che siamo stati, ma ciò che potremmo essere.